GUSTO
L’assaggio del vino è l’aspetto più importante della degustazione perché qui si chiude il cerchio iniziato con l’esame visivo e olfattivo: si hanno le
conferme o le smentite della bontà del vino. Un concetto fondamentale nell’assaggio nel vino è la valutazione del suo equilibrio.
Ne abbiamo già parlato in precedenza per gli aspetti olfattivi, ma in ambito gustativo è ancora più rilevante e soprattutto evidente: la valutazione di
ciascuno degli aspetti singoli gustativi di un vino non ha senso in sé, ma solo nel quadro dell’equilibrio che ritroviamo nel palato. Questo equilibrio
deve essere raggiunto tra le sensazioni morbide e le sensazioni dure di un vino. Vi sarà capitato infatti, assaggiando un vino, di aver sentito una
particolare sensazione di morbidezza, dolce (molto in voga nei vini negli anni ‘90 e 2000) o al contrario acida, aspra e dura, molto comuni nei vini dal
2010 in poi. Queste sensazioni caratterizzano il vino e derivano dalle sue varie componenti.
L’alcol contribuisce alla sensazione di morbidezza e all’intensità del vino ed è una componente quantitativa (nel senso che è misurabile in maniera
precisa), ma anche relativa nel senso che il fatto di avvertirla come sensazione calorica dipende dal suo rapporto con le altre componenti. Capita di
bere vini a 15,5° che sembrano leggeri e vini da 12,5° che sembrano dolci e caldi.
La glicerina, un prodotto secondario della fermentazione, assieme ad altre sostanze come le mannoproteine viste in precedenza, contribuiscono ad
aumentare le sensazioni morbide al palato: in genere sono ricercate nei vini rossi, meno nei bianchi dove la morbidezza è piacevole e attesa solo dopo
un certo invecchiamento in bottiglia.
L’acidità contribuisce invece ad aumentare le sensazioni dure che bilanciano la parte morbida e che possono essere percepite nel palato in termini di
freschezza che facilita la beva stessa del vino oltre che il suo bilanciamento; pensate all’effetto dell’acqua gasata o di una spremuta di arancio al
palato: la sensazione di freschezza dovuta alla maggior salivazione indotta dall’acidità è importante e nel vino accade esattamente lo stesso.
I tannini sono croce e delizia e li sentirete descrivere nei modi più fantasiosi. Si trovano quasi solo nei vini rossi (nei bianchi solo in qualche
orange oppure in uve bianche particolari come grechetto o ansonica) e sono responsabili della sensazione di asciugatura e secchezza che potete percepire
sulle gengive e sulla lingua.
Tali sensazioni possono essere piacevoli se sono stati ben evoluti dall’affinamento, se invece non è accaduto possono risultare eccessivamente
astringenti, asciugare quindi la bocca dalla saliva e contribuire in maniera importante alle sensazioni dure. I tannini hanno inoltre la tendenza a
esaltare il senso di amaro di un vino, che a sua volta rientra nelle sensazioni dure come anche la sapidità.
Se i tannini sono uniti agli antociani per formare composti più complessi, possono dare invece struttura e corpo al vino aumentandone la complessità in
un parametro molto apprezzato come quello della consistenza.
Un vino deve la sua capacità di invecchiamento proprio ai tannini quindi la loro maturazione in pianta, l’estrazione in vinificazione e la loro gestione
nel legno è fondamentale per costruire un vino rosso, soprattutto se da invecchiamento. Ci sono alcuni vini dove la sensazione tannica è sempre delicata
e gentile come la schiava dell’Alto Adige o un dolcetto piemontese e altri dove, per via della genetica, ci sarà sempre un contenuto tannico importante
come nei vini derivati dal Sagrantino di Montefalco, vitigno simbolo dell’Umbria.
Altra sensazione difficile da valutare tra quelle “dure” è la sapidità o salinità ovvero quella sensazione che va dal leggero sapido fi no al salmastro
e al salino di certi vini. Dipende da molti fattori, ma anche dalla presenza di sali minerali nel vino e nella relativa abbondanza di frutto. Molti vini
sono definiti sapidi perché la sensazione non è mascherata dal frutto o dal floreale anche a livello gustativo, ma in realtà è presente. Pensate al sale
che si aggiunge in certe preparazioni dolci: è fondamentale per esaltare il gusto e aumentare la piacevolezza delle componenti dolci che da sole
risulterebbero faticose e stancanti.
La grande tendenza di molti degustatori è definire “minerale” un vino individuando una sapidità riconducibile a particolari terreni. In realtà non ci
sono prove che in alcuni terreni i vini sviluppino queste sensazioni perché certi sali sono presenti nel terreno, piuttosto sembra che derivi dal tempo
di macerazione sulle bucce o sulla mancanza, appunto, di note che bilancino la sensazione classica di riduzione di un vino. Di certo è una sensazione
molto più avvertibile al gusto che al naso dove la possiamo evidenziare solo in vini derivati da vigneti in prossimità del mare (l’aerosol marino si
deposita effettivamente sugli acini grazie al vento) e in vini su suoli vulcanici dove spesso una nota fumè appare nel bicchiere.
Anche la persistenza finale è un altro fattore per valutare la sua bontà: più è lunga e piacevole più il vino viene ritenuto di qualità. Attenzione: il
fatto che resti in bocca una nota amara o acida di per sé non è un elemento positivo di persistenza, bisogna considerare la persistenza che si rifà alle
sensazioni olfattive e gustative che rimangono anche dopo la deglutizione per vari secondi. Di solito si tende a definire un vino persistente quando
queste sensazioni permangono almeno 5-6 secondi dopo la deglutizione, ma non fossilizzatevi a misurare con un cronometro questi secondi perché è più
importante apprezzare questo fattore insieme agli altri.
Un vino rinfrescante e sapido non deve avere una persistenza lunghissima per essere considerato di qualità.
Esistono numerosi altri fattori per valutare la bontà di un vino come l’eleganza e la finezza: ne descrivono la piacevolezza e, in ambito tecnico,
assumono ulteriori significati che non approfondiremo qui.