capitolo 2
BOTTI DI LEGNO
L’esigenza di avere un contenitore per il trasporto dei liquidi, pratico, leggero e maggiormente resistente rispetto ad altri materiali, da millenni ha trovato risposta nei recipienti di legno, molto prima che si conoscessero le caratteristiche positive di questo materiale per l’affinamento del vino.
Recipienti scavati all’interno dei tronchi di palma vengono addirittura citati da Erodoto (Cantarelli, 1986), utilizzati al tempo degli Assiro-Babilonesi per il trasporto della bevanda di Bacco.
Ovviamente non vanno immaginate le botti come oggi le conosciamo, fatte di doghe accostate e serrate da cerchi metallici, che formano un contenitore caratterizzato della tipica convessità. Anche le essenze non erano certo scelte per particolari caratteristiche di pregio ma, semplicemente, si impiegava il materiale più facilmente reperibile in loco, seppure nel corso del tempo si sia ben compreso quali fossero i legnami più adatti alla realizzazione di fusti (A, B, C, D).
Con il tempo si è realizzato come alcune essenze potessero caratterizzare organoletticamente il liquido contenuto, apportando miglioramenti qualitativi, in particolar modo per vino e distillati alcolici.
Il legno dunque possiede delle peculiarità (porosità, composizione) che lo distinguono nettamente da altri materiali utilizzati per la costruzione di vasi vinari e gli permettono di partecipare “attivamente” al processo di evoluzione dei vini. Tale comportamento si manifesta essenzialmente attraverso due importanti fenomeni che avvengono durante l’affinamento:
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la lenta permeazione di ossigeno verso l’interno del fusto grazie alla naturale porosità;
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il rilascio di estraibili, solubili in soluzione idroalcolica, alcuni dei quali dotati di forte impatto aromatico.
L’entità di tali fenomeni è oltretutto in funzione della capacità del contenitore, ovvero del rapporto superficie-volume, in base al quale vi saranno scambi più o meno intensi. Tale evidenza suggerisce scelte ragionate, soprattutto in funzione dell’obiettivo enologico ricercato, prima ancora di esigenze estetiche, logistiche o ”ideologiche”.
La botte va considerata come uno strumento, una “macchina” ad azione chimica e fisica, capace di elevare i vini verso traguardi qualitativi prestigiosi, sempreché gli stessi posseggano caratteristiche (estratto, concentrazione polifenolica, polisaccaridi, grado alcolico) adeguate ad assecondarne l’effetto.
Tra le essenze legnose utilizzate nella costruzione di botti, le querce (solo per alcune specie) si sono imposte nel corso del tempo in maniera quasi totale grazie alla qualità degli estraibili aromatici abbinata a facilità di lavorazione e porosità contenuta. Altre meritevoli di menzione, ma il cui uso è molto meno frequente in ambito enologico, sono il ciliegio (Cerasus avium) l’acacia (Robinia pseudoacacia) e, soprattutto, il castagno (Castanea sativa). Ulteriori famiglie citate (C) hanno trovato un impiego solo occasionale, seppure non siano da escludere eventuali sperimentazioni.
La quercia appartiene al genere Quercus, famiglia fagaceae o cupuliferae. Le specie che possono fornire materia prima adatta non sono molte: sessilis o petrea (rovere) e robur o peduncolata (farnia) oltre Q. alba (quercia bianca), con caratteristiche sensibilmente diverse rispetto alle prime. Occasionalmente può comparire nelle partite di legname anche Q. pubescens (roverella).
Farnia e rovere sono molto diffuse, in promiscuità (da cui la frequenza di ibridi con caratteristiche intermedie alle due), ed anche al momento dell’assemblaggio della botte non vengono distinte, tanto che in passato venivano considerate un’unica specie. Esempi di ibridazione sono presenti anche in Italia, tra Q. pubescens e Q. petraea, oppure tra Q. ilex (leccio) e Q. suber (sughero).