capitolo 3 VASCHE DI MURATURA E CEMENTO ARMATO Manutenzione e rivestimenti interni Albino Morando, Stefano Gozzelino rivestimento, manutenzione, condizionamento, pulizia, recupero KEYWORDS Il cemento, sia nel periodo a contatto con il vino e le soluzioni di lavaggio, sia durante la conservazione a vuoto, può subire una serie di aggressioni di intensità variabile a seconda delle condizioni, ma pur sempre negative per le vasche ed il loro contenuto. Una buona azione di rivestimento è svolta dagli stessi tartrati che derivano dal vino i quali, aderendo alle pareti, limitano i deleteri scambi fra contenitore e contenuto. Purtroppo, una superficie ricoperta di tartrati è molto difficile da gestire perché, con i depositi successivi di un materiale a diverso coefficiente di dilatazione, si possono verificare bollosità, con infiltrazioni di vino e conseguenti distacchi parziali dello strato protettivo. (A) (B) Ormai abbandonate da tempo le piastrellature con vetro e gres (però ancora oggi si impiegano vasche così rivestite molti decenni fa e perfettamente conservate), la paraffina ed il flintkote, rimane la scelta tra lastre di PVC, liner di acciaio inossidabile o PRFV e le resine epossidiche . (D) Queste ultime risultano la soluzione più diffusa (oltre il 90% delle vasche rivestite sono trattate con queste resine) ed anche la più valida. Qualche insuccesso verificatosi con questo materiale è da imputare soprattutto ad imperizia nell’applicazione, in particolare per inadeguatezza delle superfici non portate allo stato ottimale con interventi di restauro specifici, per umidità delle pareti, per cattiva manutenzione o danni accidentali provocati da un impiego errato. Già negli anni ‘50 veniva indicata la possibilità di annegare delle tubazioni nel cemento per disporre di vasche termocondizionate. Oggi, con la disponibilità di nuovi materiali, tali realizzazioni sono ritornate attuali con buoni risultati . (C) (A) - Aggressioni corrosive nei vasi vinari e loro effetti sul conglomerato cementizio (da Botta, 1974) Anidride solforosa (fermentazioni e mosti muti) Azione energica sul cemento con formazione di solfiti e solfati di calcio che si infiltrano nel calcestruzzo disgregandolo ed attaccano le armature metalliche. Effetti disastrosi si hanno sui soffitti Anidride carbonica (fermentazioni, rifermentazioni, ecc.) Si forma inizialmente carbonato di calcio che successivamente si trasforma in bicarbonato di calcio solubile con conseguente disgregazione del conglomerato. Effetti più evidenti sui soffitti Acido tartarico, citrico, malico Attacco debole con formazione di sali di calcio insolubili Detersivi e soluzioni sterilizzanti Sono aggressivi soprattutto quelli a base di composti del cloro perché trasformano la calce del cemento in cloruro di calcio solubile; inoltre fanno arrugginire il ferro del calcestruzzo Calore (asportazione del tartaro con la fiamma ossidrica) Disidratazione e disgregazione del conglomerato con perdita di consistenza e di impermeabilità. Nei punti deteriorati dal calore le aggressioni chimiche avvengono con intensità maggiore Freddo (refrigerazione e conservazione dei vini refrigerati) Azione disgregante dovuta all’aumento di volume per trasformazione in ghiaccio dell’acqua contenuta nelle porosità superficiali del conglomerato. Forti tensioni interne causate dalle dilatazioni e contrazioni conseguenti agli sbalzi termici. In alcuni casi (in particolare per le vasche in batterie) queste tensioni possono provocare crepe e fessurazioni le vasche di cemento non rivestite si possono lavare con acqua calda e soda (anche allo scopo di asportare i tartrati), curando di rompere le eventuali bolle di tartaro. È bene non esagerare nei lavaggi con getti a pressione, allo scopo di mantenere un sottile strato di tartaro che costituisce un vero rivestimento interno, con il vantaggio di ridurre notevolmente le cessioni da parte del cemento. Quando il deposito di tartaro si ispessisce eccessivamente è necessario procedere all’asportazione con mezzi manuali (sgrumatore), meccanici (fresa, flessibile) o fisici (fiamma ossidrica). Quest’ultima soluzione è la più seguita perché più pratica e veloce (il riscaldamento localizzato sgretola il tartaro), ma anche la più rischiosa per la stabilità del cemento che, essendo un gel disperso in acqua, rischia la disidratazione con conseguente perdita di stabilità. La vasca vuota va conservata con la portella aperta e assolutamente mai solfitata. Infatti i vapori solforosi attaccano energicamente il cemento e, a seguito della massiccia corrosione, il ferro che si trova a vista, in particolare sul tetto, dove il rinforzo metallico è disposto a filo dell’intonaco. È ovvio che la vasca di cemento non rivestito non deve mai essere adibita alla conservazione dei mosti muti, nei quali l’elevata concentrazione di anidride solforosa porta ad una rapida corrosione della parte alta del contenitore. in questo caso i lavaggi sono più facili, ma occorre comunque molta attenzione per evitare danni al rivestimento. La detartarizzazione va affidata all’azione solvente della soluzione di soda più che all’impatto meccanico del getto. Rientrano in questa voce l’eventuale sostituzione degli accessori (valvole, portella, chiusino), la riparazione o il totale rifacimento di intonaco e pavimenti, il ripristino del rivestimento interno, la pitturazione esterna con prodotti antimuffa. Per la riparazione dell’intonaco, da effettuarsi solo dopo accurata pulizia e depolverizzazione, si impiegano speciali cementi caricati con plastificanti. Per eventuali fessure o crepe può essere opportuno iniettare a pressione delle gomme siliconiche chimico-resistenti che hanno il vantaggio di una notevole elasticità e di una tenace adesione. (B) - Manutenzione ordinaria Vasche non rivestite: Vasche rivestite: Manutenzione straordinaria - Moderne vasche di cemento realizzate con una forma tronco-piramidale assolutamente innovativa, dotate di condizionamento tramite tubi plastici (in materiale plastico denominato Pex) annegati nel cemento. Ognuna delle quattro pareti e il pavimento dispongono di un circuito indipendente, ma vanno gestiti contemporaneamente per evitare stress termici al cemento. Anche se l’escursione termica di esercizio del glicole può variare da +5 a +45 °C, si consiglia di operare tra i 10 e i 15 °C. ( ) (C) Nico Velo (D) - Rivestimenti interni delle vasche di cemento Paraffinatura Consiste nella spennellatura di paraffina fusa sulle pareti interne preventivamente riscaldate. Completata la distribuzione, si effettua un lavaggio con acqua fresca per indurire il rivestimento e la vasca è pronta all’uso. Questo rivestimento di durata limitata si giustifica solo nel caso sia ricercata una protezione temporanea, in attesa che i tartrati vadano a depositarsi sul cemento, isolandolo dal contatto con il vino. Rivestimento con piastrelle di vetro La vasca viene totalmente piastrellata (compresi quindi il pavimento ed il tetto), con lastre di vetro di dimensioni variabili (cm 20x20, 30x30, ecc.) ed uno spessore di 4-6 mm, fissate con cemento e speciali mastici antiacidi. Disponendo di vasche regolari, con superfici a piombo, ottimo vetro, mastici adatti ed un buon posatore, si possono conseguire risultati validi, come documentato da piastrellature effettuate parecchi decenni fa ed ancora in funzione. Per i costi elevati di posa in opera ed il rischio di distacco e rotture a seguito di urti accidentali o immissione di vino freddo, questo rivestimento non viene più realizzato. Rivestimento con piastrelle di gres I problemi sono analoghi a quelli evidenziati per le piastrelle di vetro, con in più l’inconveniente di non consentire l’osservazione di eventuali infiltrazioni di vino dietro il rivestimento, alle quali consegue un grave rischio per la sanità del contenuto. Flintkote Si tratta di un’emulsione bituminosa dispersa in soda caustica che viene distribuita a caldo sulle pareti tramite pennello o spatola. Presenta diversi inconvenienti tra i quali la forte aderenza dei tartrati e la successiva difficoltà ad asportarli ed il rammollimento a contatto con olio enologico ed a temperatura superiore a 25 °C. Ciò nonostante ha trovato una discreta diffusione negli anni 1930-1960 per mancanza di alternative valide. Oggi questo rivestimento è del tutto abbandonato e non più ammesso per legge a causa delle cessioni di sostanze antraceniche riconosciute cancerogene. Rimane, per le vasche così rivestite che si vogliono recuperare, la notevole difficoltà ad asportare il rivestimento. Rivestimento con lastre di PVC Si utilizzano lastre di PVC spesse 2-3 mm, introdotte arrotolate nella vasca e poi inchiodate alla parete e congiunte con saldatura a caldo. Le teste dei chiodi vengono ricoperte con un tassello dello stesso materiale, saldato a caldo lungo la circonferenza. In passato è stato sperimentato l’incollaggio delle lastre alle pareti, ma con pessimi risultati per la cessione da parte del collante (acetone) di odori e sapori sgradevoli. Il PVC, pur essendo considerato un materiale adatto al contatto con gli alimenti, non ha avuto una diffusione consistente sia per gli elevati costi di posa in opera (la vasca deve preventivamente essere detartarizzata, ripulita, eventualmente riparata con stucchi o siliconi, depolverizzata) sia per l’infragilimento che subentra con l’invecchiamento, a seguito del quale aumentano i rischi di rotture (possibili anche a causa di interventi traumatici in fase di asporto dei tartrati) con conseguenti infiltrazioni di vino dietro al rivestimento. Questo danno è irreversibile e costringe ad eliminare il rivestimento per recuperare la vasca. Rivestimento con liner interno di PRFV Si tratta di esperienze limitate a poche vasche con risultati poco rassicuranti (Boranga, 1989). Infatti, a fronte dei costi elevati per la preparazione interna della vasca (pulizia, rattoppi dell’intonaco e del pavimento con speciali stucchi o loro totale rifacimento) e per la distribuzione del epossidico, seguito da uno strato di tessuto di vetro impregnato di resina epossidica e rifinitura con altri due strati della stessa resina, non si ha una sicurezza di tenuta essendo molto probabili le infiltrazioni che costringono al totale rifacimento del rivestimento. primer Rivestimento con lamiera di acciaio inox Consiste in un vero e proprio contenitore in acciaio costruito all’interno della vasca di cemento (Boranga, 1989). Anche in questo caso la superficie va accuratamente preparata in funzione dell’appoggio del rivestimento di acciaio inossidabile. Le lamiere (spessore 1,5 mm per pareti e soffitti e 2,5 mm per il pavimento) già tagliate della misura in base ad una precisa preventiva progettazione, vengono introdotte da una finestra aperta nella vasca (che verrà successivamente riparata saldando i tondini di ferro e stuccando il foro con appositi cementi aggiunti di plastificanti), inchiodate alle pareti e saldate. Di solito, con l’occasione, si sostituiscono gli accessori e viene accuratamente predisposto un sistema di rilevamento delle infiltrazioni dietro le pareti, con possibile scarico del vino che attraversa il rivestimento. Il costo complessivo dell’operazione è estremamente elevato, non lontano da quello di un serbatoio di acciaio inossidabile della stessa capacità, per cui questa soluzione è ipotizzabile solo nei casi in cui si debbano forzatamente recuperare dei contenitori di cemento che non possono essere abbattuti. Rivestimento con resine epossidiche Si ottiene con la distribuzione, con pennello, rullo o pistola airless, di due strati di resina epossidica di ottima qualità. I risultati dipendono dalla solidità della struttura di cemento, dalla preparazione della superficie e dalla capacità ed esperienza degli applicatori. I costi sono determinati dalle superfici che, per essere portate alle migliori condizioni, devono essere perfettamente ripulite, sabbiate e stuccate o, se necessario, totalmente rifatte (intonaco e pavimento). L’applicazione delle resine epossidiche trova le migliori condizioni sulle vasche nuove, per le quali è però importante attendere la perfetta asciugatura del conglomerato cementizio. Particolari di rivestimenti interni con resine epossidiche (CLC Vasche)