capitolo 4
BARBATELLA
L'attività di incrocio e selezione in Europa ha avuto inizio a metà Ottocento con l’arrivo di peronospora, oidio e fillossera.
Per quanto riguarda quest'ultima malattia, che interessa le radici di Vitis vinifera, il problema è stato brillantemente risolto con l’innesto su
portinnesto resistente, raggiungendo pertanto un controllo biologico e sostenibile. Considerando peronospora e oidio il percorso è stato più lungo e
complesso, nella ricerca di incrementare la tolleranza di V. vinifera attraverso incroci, anche ripetuti, con specie nordamericane portanti i caratteri
di resistenza. Tale processo è tutt'ora in atto e più che mai attuale.
Tra la fine del XIX e durante tutto il XX secolo, sono stati ottenuti migliaia di ibridi resistenti, tra i quali i più interessanti hanno trovato ampia
diffusione soprattutto in Francia. Tuttavia, il vino ottenuto da tali vitigni presentava caratteristiche organolettiche decisamente inferiori rispetto a
V. vinifera, adatto alla commercializzazione come bevanda di massa, ma assolutamente non per prodotti di qualità.
Questo fatto pose la viticoltura europea di fronte a un dilemma: affidarsi agli ibridi riducendo i trattamenti antiparassitari e accettando nel contempo
la loro bassa qualità, oppure coltivare la vite europea difendendola con numerosi e ripetuti fitofarmaci? Fino alla metà del secolo scorso, i
viticoltori dimostrarono di apprezzare gli ibridi, impiantati su circa la metà dei vigneti francesi e più di un terzo in Italia.
In seguito, la CE ne proibì l'utilizzo, per salvaguardare la piattaforma ampelografica della viticoltura europea e mantenere quanto più possibile
elevato il livello qualitativo dei vini prodotti nel Vecchio Continente.
L'enorme interesse da sempre suscitato nei confronti di cultivar che possano in qualche modo diminuire l'utilizzo di fitofarmaci, ha indotto la CE a
mantenere aperta la possibilità secondo cui, qualora una varietà selezionata dimostrasse caratteristiche enologiche paragonabili a quelle di V.
vinifera, sarebbe stata possibile la sua coltivazione.
Dalla metà degli anni settanta del secolo scorso il miglioramento genetico si concentrò soprattutto sulla selezione clonale, in Francia e Italia, ma
anche nelle altre Nazioni europee. L’ottenimento di nuove varietà per incrocio e selezione si ridusse molto, continuando - anche se a ritmo ridotto - in
Germania, Ungheria, Austria, Serbia, Bulgaria, ecc.
Il progredire della ricerca specie nel campo della genetica durante l'ultimo decennio del Novecento, rese disponibili per i ricercatori nuovi metodi di
analisi sfruttando i marcatori molecolari, fra cui i microsatelliti si rivelarono i più utili ed efficaci. Essi permettono di individuare in laboratorio
la presenza, nell'ambito di uno specifico genotipo, di geni interesanti, sfruttando l'associazione nel genoma di uno o più microsatelliti con
particolari geni di resistenza. Il processo di incrocio e selezione ebbe nuova linfa, divenendo più rapido e sicuro.
Recenti indagini statistiche mostrano come, la viticoltura europea, a fronte di una superficie agraria utile (SAU) che attualmente rappresenta il 3%
rispetto al totale, impiega il 65% di tutti i fungicidi utilizzati in agricoltura. Questi dati, non certo incoraggianti, hanno stimolato i ricercatori
in Europa e in Italia a riprendere il lavoro di selezione, con l'obiettivo, mediante incrocio e selezione, di ottenere varietà che possano abbinare la
resistenza alle malattie ad una buona qualità dell’uva e del vino.
Le ampelopatie riguardo le quali si sono profusi i maggiori sforzi sono state peronospora e oidio, considerate le più gravi tra quelle che interessano
la vite, e verso cui gli agricoltori si trovano costretti al maggior numero di interventi fitosanitari, spendendo gran parte del loro tempo e denaro.
Grazie all'intensa attività di ricerca nell'ultimo ventennio si sono rese disponibili sul mercato varietà di vite resistenti con caratteristiche
agronomiche, ma soprattutto enologiche sempre migliori.
I programmi più interessanti sono stati condotti in Germania, a Freiburg presso l’Istituto di Geilweilerhof e all’Università di Geisenheim, in Francia a
Colmar, in Ungheria a Kecskemet e Pecs, in Serbia a Novi Sad, in Italia all’Università di Udine e presso la Fondazione FEM di San Michele all’Adige
nonché recentemente al CREA (già CRA-VIT di Conegliano).
Questo intenso programma di ibridazione ha portato all'ottenimento di una moltitudine di vitigni tolleranti, venti dei quali (rappresentati in queste
pagine) attualmente iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, e pertanto ammessi alla coltura nel territorio italiano.
Nel futuro prossimo sono attesi ulteriori passi avanti per quanto riguarda il miglioramento genetico della vite, che potrà avvalersi di due nuovi
approcci metodologici, la cisgenesi e il “genome editing”.
La cisgenetica prevede il trasferimento di materiale genetico tra organismi filogeneticamente vicini fra loro come, ad esempio, specie appartenenti al
genere Vitis. In tal modo l'ottenimento di nuovi ibridi potrebbe risultare più rapido e meno oneroso, per quanto vi siano attualmente aspetti
migliorabili.
Il "genome editing" invece, proposto di recente, consente di modificare in modo puntiforme il genoma di un organismo, attivando nella pianta ospite geni
inespressi come, ad esempio, i responsabili della resistenza ad una specifica malattia. Allo stesso modo si può intervenire disattivando altri geni che
consentirebbero al patogeno l’attacco della pianta ospite, rendendolo pertanto impossibile.
Alla luce di tali innovazioni, il MIPAAF sta attualmente attivando (marzo 2016) un interessante progetto di ricerca su vite e altre specie agrarie.