LE RADICI
AV: Professoressa Guidoni, per cominciare, ci parli della sua vocazione viticola, della sua storia di ricercatrice e dei suoi maestri, cioè delle sue
radici.
S. Guidoni: Mi sono iscritta alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino sull’onda di un’emozione perché il mondo rurale mi ha sempre
affascinato.
Lì il mio primo e più grande maestro è stato il professor Italo Eynard, relatore della mia tesi di laurea, un faro che ha avuto un ruolo molto
importante nella mia carriera professionale, morto giusto 30 anni fa nel 1993 all’inizio della mia carriera accademica. Fu proprio Eynard a invitarmi a
iscrivermi alla Scuola di specializzazione in Viticoltura ed Enologia e da lì in avanti mi ha incanalato verso un percorso di studio e di ricerca,
iniziando a farmi lavorare nel vigneto a fianco dei ricercatori. In particolare, all’interno del Centro di Miglioramento Genetico della Vite del CNR,
del quale era direttore sempre Eynard, ho lavorato a fianco di ricercatori come Franco Mannini, Anna Schneider, Giuliana Gay, Vittorio Novello e Ivana
Gribaudo che sono stati altri miei fari illuminanti. Con loro mi sono occupata oltre che di selezione clonale, di portainnesti, di ampelografia e anche
delle tecniche colturali.
Questa è stata la mia palestra ed è stato puro divertimento, cosa che mi ha convinto a proseguire in questa direzione nella mia attività professionale.
Eynard mi ha poi spinto a fare altre esperienze tra le quali il Dottorato di Ricerca e una borsa di studio presso una stazione sperimentale svizzera.
Dopo questo, nel 1992 sono diventata ricercatrice e finalmente nel 2006 Professore Associato, quale sono tuttora.
Mi sono sempre occupata di vite, fatta eccezione di un periodo in cui mi sono occupata di actinidia, sempre sollecitata dal professor Eynard che è stato
colui che ha importato il kiwi e il mirtillo gigante in Italia. Questo per ribadire che Italo Eynard è stato un ricercatore vulcanico, un personaggio
strepitoso del quale a lungo mi sono sentita un’orfana professionale, se così si può dire. Quando sono entrata all’Università ho poi iniziato a
insegnare focalizzandomi, dietro suggerimento del mio collega Andrea Schubert, sugli aspetti applicativi della viticoltura con il corso di “Gestione del
vigneto” che porto avanti ancora oggi. Da allora è mia consuetudine e piacere incontrare in vigna agronomi e tecnici viticoli e, in generale, persone
che lavorano nel vigneto, anche per imparare sul campo gli aspetti applicativi di quello che studio e approfondisco con le ricerche. Da questi confronti
ho imparato molte delle cose che poi trasmetto ai miei studenti.
C’è anche un’altra persona importante che devo citare nella mia carriera ed è il professor Rocco Di Stefano, un vero maestro, paragonabile a quei
filosofi dell’antica Grecia che vivevano e discutevano con i loro discepoli. Ho frequentato per parecchi anni il suo laboratorio, dove ho imparato molto
sulle analisi delle uve e del vino accanto a questo scienziato multi-tasking in grado di spiegare tutto sulla chimica del vino e dell’uva, mentre
contemporaneamente era occupato a riparare strumenti di laboratorio. Un genio di uno spessore pazzesco, ma che ha sempre mantenuto volutamente un
profilo basso come solo i grandi sanno fare.