VITICOLTURA
La crisi climatica in atto obbliga a rivedere le tecniche colturali e a trovare soluzioni alternative per garantire la qualità del prodotto
Tra gli effetti più consistenti che il riscaldamento globale sta esercitando sulla viticoltura mondiale si annoverano l’estensione del periodo di crescita vegetativa nonché l’anticipo e la compressione delle fasi fenologiche (Delrot et al. 2020). In numerosi distretti vitivinicoli delle aree temperato-calde, il soddisfacimento delle sommatorie termiche ritenute ideali per la maturità dell’uva viene raggiunto con largo anticipo rispetto al tradizionale calendario vendemmiale (Webb et al. 2007).
Quest’ultimo aspetto si acuisce nei distretti spumantistici, basti pensare che in Franciacorta la data media di vendemmia dello Chardonnay ha subito un anticipo di oltre 20 giorni tra il periodo 1981-1990 e il più recente decennio 2011-2020. Si tratta di un effetto atteso considerando che la sommatoria termica ottimale per la maturità del vitigno, compresa tra 1300 e 1400 gradi giorno (Miller et al. 2001), viene ormai raggiunta entro la metà di agosto. A tale effetto, la filiera ha contrapposto un progressivo anticipo della data di vendemmia al fine di preservare la composizione ottimale dell’uva. Tuttavia, il problema non sembra essere del tutto arginato ed è sempre più impellente la necessità di ripensare a come organizzare la logistica dei conferimenti oppure di contenere i costi energetici per il raffrescamento dei mosti. Da un punto di vista fisiologico va rimarcato che se la raccolta anticipata consente di assicurare l’acidità desiderata, il grado zuccherino potrebbe non risultare ancora sufficiente rispetto alla soglia prefissata. Peraltro, diversi autori hanno evidenziato danni da scottature (Gambetta et al. 2019), la formazione di composti fenolici sgraditi (Greer et al. 2006) e l’alterazione del tipico profilo sensoriale associato alla spumantizzazione di uve tendenzialmente neutre come lo Chardonnay (Swami et al. 2014).