CULTURA E SOCIETÀ Can Cane Champagne BACCO TRA LE NOTE di ALBERTO ANGELINO La Gaîté Parisienne raccontata da Jacques Offenbach Niente è più frizzante della Francia del Secondo Impero. I calici tintinnano per l’avvento di un nuovo Napoleone, alle Tuileries, i tappi saltano in Place de la Bourse a ogni milione di nuovo capitale nell’impresa di Suez. Botti che sono l’eco delle esplosioni con cui la vecchia Parigi crolla per fare posto ai grandi boulevard progettati dal barone Haussmann. Una spumeggiante euforia che la sera si trasferisce nei palchi dell’Operà, al Théâtre-Italien o chez Bignon in rue de la Chaussée d’Antin dove si trovavano «Donne di facili costumi, sottospecie di agenti di cambio e le briciole della gioventù dorata» come scriveva Nerval nel 1852. Nella cantina dormivano 200.000 franchi di vino, due piani sopra Rossini. Cosa mai potrebbe andare storto in questo magnifico universo sotto il segno di Bacco? Tutto, ovviamente, e lo si vedrà nel 1870. Ma per il momento torniamo a 12 anni prima e occupiamoci di chi aveva già compreso quanto quel reame fosse da operetta. Per la nostra rubrica Bacco tra le note è venuto il momento di farvi conoscere un compositore geniale che seppe trasformare in musica tutto quel fiume di vino: Jacques Offenbach. L’uomo che ha raccontato la era, in realtà, tedesco: nato Jakob Levy Eberscht nel 1819 a Colonia, da una famiglia originaria di Offenbach sul Meno. Il padre Isaac, musicista, riconobbe presto il talento del figlio. Dopo il diploma di violoncello al conservatorio di Parigi, l’ingaggio nell’orchestra dell’Opéra-Comique, dove si fa un nome come virtuoso. Ma Jacob, ormai Jacques, ha anche il dono di comporre musica allegra. Trova uno straordinario collaboratore in Ludovic Halévy (sarà il librettista de La Carmen di Bizet) e fonda un suo piccolo teatro , dove rappresentare le sue operette. Ne scriverà più di 100, alcune poco più che vaudeville, con un canovaccio, altre vere Operà-comique in più atti, ma quella che ci interessa per il nostro rapporto con il vino è del 1858 e si intitola “ ”: Orfeo all’inferno. Gaîté Parisienne Des Bouffes Parisiens Orphée aux enfers Orfeo è centrale nella produzione di Offenbach per diversi motivi, è nel pieno della maturità artistica e i temi sgorgano felici accompagnando nel dettaglio l’azione con risultati esilaranti. Ma soprattutto Orfeo è l’opera con cui l’ex violoncellista, ex tedesco ride di tutti: il Secondo Impero e il secondo imperatore, con il suo seguito di ministri, visconti di nuovo conio e speculatori. Una folla capace di farsi paladina delle convenzioni sociali e, al contempo, di vantarsi pubblicamente di infrangerle. Nessuno lo mise in galera per lesa maestà, anzi, tutti si divertirono della caricatura. Gli unici che non la presero bene furono gli appassionati di musica. L’operetta sembrava farsi beffe dell’”operona”: quella nata sotto il segno dell’Orfeo di Monteverdi e proseguita con l’Orfeo di Gluck amatissimo in Francia. Ne nacque una polemica e tanta pubblicità. Orphée avrebbe dovuto stare in cartellone una settimana, ebbe 228 repliche. Ancora una premessa prima di arrivare al nostro punto enoico. La genialità di Offenbach ed Helevy a cui qui si aggiunge anche Hector Cremieux, sta nell’aver ribaltato le premesse della tragedia greca dove tutto è preordinato dal destino. La bella Euridice è ben contenta di essere andata nell’al di là, dove conosce gente interessante: c’è Giove che tenta immancabilmente di sedurla, e nel quale tutto il pubblico riconosce Luigi Napoleone, c’è un festaiolo Plutone altrettanto innamorato di lei, e soprattutto c’è Bacco, ispiratore e consolatore del genere umano di cui la bella aspira a essere sacerdotessa. Orfeo, dal canto suo, tra arte e ninfe, non ha per nulla voglia di scendere nell’Ade a ripescare la moglie. A costringere tutti a comportarsi secondo quanto prescritto dal mito è l’Opinione Pubblica. Un personaggio che fin dall’inizio si presenta come l’evoluzione moderna del coro greco, solo che, mentre quello commentava l’azione, lei la dispone secondo il volere del pubblico medio. “Voglio che i bambini siano saggi, che il papà sia rispettato, e pretendo nei matrimoni restaurare la fedeltà”, dichiara. Un po’ come se oggi le vite delle persone fossero condizionate dai like di perfetti sconosciuti. Che fantasia avevano nell’Ottocento! Ovviamente niente va secondo l’Opinione pubblica predispone, tra scambi di persona, equivoci e divertenti sfondamenti della quarta parete. Non vi riveliamo il finale, ma all’ultimo atto dei, semidei e mortali si trovano tutti nel regno di Plutone in un enorme baccanale. E qui la cosa si fa interessante. Le opere di Offenbach sono piene di vino e bevute, ma stavolta siamo su un altro livello: il coro intona “ ” ed è quanto di più vitalistico e sguaiato si possa immaginare. In questa rubrica abbiamo visto il brindisi popolare de La Cavalleria Rusticana (Viva il vino spumeggiante), quello composto e alla moda di Traviata (che pure è la storia di una parigina di cinque anni prima), ma questa ubriacatura è assolutamente realistica nel suo modo di essere sfrenata e impunita. Qui non ci sono compagni di osteria che festeggiano a braccetto, o la bella comitiva in redingote che brinda nei lieti calici, questa è la Milano da Bere degli anni ‘80 e lo sballo è affermazione del potere. Non per niente nell’atto precedente gli Dei avevano contestato Giove perché stufi della solita ambrosia. vive le vin viva Pluton demi-mondaine Ritratto di Jacques Offenbach Di Fritz Luckhardt - Fonte wikimedia Dal punto di vista musicale l’aria è ritmata in modo ossessivo su poche note, è un puro battere i piedi per fare rumore: semplice ebbrezza. Il coro quasi all’unisono si concede poche sottigliezze. Come se fossero degli armigeri verdiani, si va ai baccanali come i Lombardi vanno alla prima crociata. Viva il vino! Viva Plutone! / e ci ridiamo di chi avrà da dire! / La divina coorte / inebriata da questo vino / canta il dio che porta/ la corona di ferro / La sua bella dimora/ sarà la nostra patria: / se si comprende la vita/ amici, questi sono gli inferi! / Viva il vino! Viva Plutone!/ e ci ridiamo di chi avrà da dire! Da qui in poi gli inferni si trasformano nel regno del fermento etilico. Cupido invita Euridice a cantare il suo inno a Bacco. L’aria che ne segue è un capolavoro di agilità per un soprano; coloratura, paragonabile a quella della Regina della Notte del Flauto Magico, note così acute sono possibili grazie all’estasi enoica che lei stessa dichiara: Bacco m’ispira/ Sento in me il suo santo delirio. Giove prova riavvicinarsi a Euridice, proponendo un minuetto infernale, ma quest’angolo di composto settecento finisce in un’ebbra caciara. Il ritmo si fa indiavolato ed è qui che, anche chi non ha mai sentito parlare di Offenbach, trova un tema che subito riconosce. ll vino ha innescato un Galop Infernal, poi etichettato con il nome di una danza inventata pochi anni prima: il can-can. Nessuno può resistervi e da lì a pochi minuti il motivo accompagnerà anche il coro finale, facendo cantare a tutti i presenti le gioie di Bacco, mentre volano gonne e caviglie. Più joie de vivre di così. Il Can-can di Offenbach è diventato così celebre non solo quindi per il ritmo spumeggiante, ma anche per il contesto di follia generale associato a questo periodo storico e ai suoi protagonisti, finendo per diventare l’equivalente musicale dello champagne; un paradosso se ci pensate, perché nell’opera non viene nominata nessuna tipologia di vino. La storia però infrange la cristalleria: Offenbach continuerà a deliziare il secondo impero fino all’ultimo, ma nel 1870 tutto si sgretola di fronte agli ultimati di Bismarck. Nella guerra i francesi lo boicottano come tedesco, i prussiani lo vedono un traditore, lui rimane un musicista. Riapre al Théâtre de la Gaîté con un certo successo, perché ai parigini piace ridere persino mentre bruciano le Tuileries, ma non è più il suo tempo. Ed è allora che Offenbach mostra tutta la grandezza sotto la maschera del buffone. Nascono Les contes d’Hoffmann, un’opera senza diminutivi, un capolavoro assoluto. Forse anche un ritorno alle origini visto quanto è impregnata del romanticismo fantastico tedesco. Si apre su un coro di studenti in una taverna, accompagnati dagli spiriti del vino e della birra, come se fossimo in un Lied di Schubert o in Der Wein di Berg. Sono allegri anche loro, ma in modo ben diverso dagli Dei dell’Olimpo imperiale: il vino li rende sani, forti, ispirati, l’emblema di una giovinezza che si guarda con simpatia e un po’ di invidia. Les contes andrà in scena il 5 febbraio 1881, Offenbach non si gusterà l’ultimo successo perchè era morto il 5 ottobre 1880. “Se n’è andato senza accorgersene” dichiarava il portiere di casa a chi chiedeva informazioni. “Se è così sarà molto stupito quando se ne renderà conto” rispose il vecchio tenore Leonce con lo stesso spirito con cui aveva interpretato Orfeo 22 anni prima. Consigli per l’ascolto Ci sono ottime incisioni di Orphee aux Enferns ma ascoltarla non basta. Se volete davvero divertirvi cercate su youtube la versione integrale dell’Operà National del Lyon diretta da Mark Minkowsky. Vi sembrerà scritta ieri. https://www.youtube.com/watch?v=U6tkYTneUG4 Consigli bibliografici Tra le centinaia di libri sulla vita di Offenbach il più divertente (anche se introvabile) è Jacques Offenbach e la Parigi del suo tempo di Siegfried Kracauer - Marietti - Casale Monferrato, 1984. Per un’idea generale consigliamo Offenbach di Alain Decauz -Rusconi – Milano, 1981 e Offenbach Idilio e Parodia di Robert Pourvoyer - Eda - Torino 1980.