“È necessario dialogare con l’ambiente che ci accoglie, altrimenti l’essere virtuosi rischia di essere fine a se stesso e di fermarsi all’interno delle aziende: da imprenditori dobbiamo saper restituire al nostro territorio e non limitarci solo a prendere”. Questo pensiero di Giorgio Cecchetto, titolare dell’omonima azienda, purtroppo scomparso lo scorso anno, ricalca fedelmente lo spirito e la volontà di tutta la famiglia Cecchetto.
Marco, Sara, Alberto e Cristina hanno ciascuno un ruolo preciso all’interno dell’azienda, con Marco che si occupa della conduzione dei vigneti che richiedono un particolare riguardo soprattutto per quel che concerne le vigne vecchie di 60 anni, patrimonio storico del territorio. “Si ricorre a una potatura ottimizzata grazie alla partnership con Simonit&Sirch iniziata più di dieci anni fa – ci spiega Marco accompagnandoci in vigna- e con essa si è riusciti a diminuire l’apporto di concime in campo, andando ad abbattere una parte di potenziale inquinamento e impatto ambientale e a gestire meglio la difesa contenendo le malattie fungine, con conseguente riduzione dei trattamenti”. Sara si occupa fra le altre cose di apicoltura, organizzando anche incontri con le scuole per sensibilizzare alla biodiversità. È inoltre opera sua la redazione, nel 2022, del primo Bilancio di Sostenibilità dell’Azienda, realizzato utilizzando gli standard internazionali di riferimento del GRI (Global Reporting Initiative) e per il quale è stata premiata dal Corriere della Sera, che l’ha giudicato il migliore nella categoria piccole e medie imprese italiane.
Alberto, il più giovane dei fratelli, ha da poco concluso gli studi ma anche lui ha già un suo ruolo all’interno dell’azienda, dedicandosi alla comunicazione e agli eventi aziendali con lo spirito di chi è convinto che “Se qualcuno ha bisogno, noi non ci tiriamo indietro”. E infatti nel 2023 l’azienda ha adottato la forma giuridica di Società Benefit che le consente di perseguire, oltre agli obiettivi di profitto, un modello di business vitivinicolo rispettoso delle persone e dell’ambiente che crea valore condiviso e con un impatto positivo sulla società e sulla biosfera. La storia dell’azienda inizia in un modo non inusuale, con il papà di Giorgio, Sante, che nel 1985, da mezzadro, riesce a rilevare il podere che da tempo coltiva e nel quale sorgerà dieci anni dopo la sede di Tezze di Piave, nella Marca Trevigiana. Nel frattempo Giorgio si diploma alla scuola enologica di Conegliano e si dedica all’azienda di famiglia con un occhio attento ai vigneti delle varietà autoctone, consapevole che essere viticoltore non significhi solo lavorare la terra ma che occorra impegnarsi a preservare l’ambiente in cui si vive e si lavora, aiutando anche l’economia locale. Per questo motivo Giorgio si dedica anima e corpo a produrre vini che vuole “ambasciatori del territorio”, iniziando la sperimentazione del Raboso in appassimento che lo porterà a produrre nel 1997 la prima annata di Gelsaia e a fondare, l’anno prima, la Confraternita del Raboso insieme ad altri produttori della zona. La sfida di Giorgio è quella di far conoscere il Raboso oltre i confini del Piave e renderlo emblema della sua terra, conoscendo bene la difficoltà legata al fatto che Raboso sta per Rabbioso, dunque si tratta di avere a che fare con un vitigno legato a un cliché che lo vede duro, aspro e di non facile beva. Gli sforzi di Giorgio vengono premiati e quel sogno che per molti era irrealizzabile prende forma anche grazie alle parole di Luigi Veronelli che nel 2002, allora critico enogastronomico per il Corriere della Sera, definisce il Raboso del Piave come una “fascinosa realtà, per acidità, profumi e struttura”.