DIFENDERE IL SUOLO È UN DOVERE
I vigneti sono fra le colture più suscettibili al compattamento e all’erosione dei suoli, soprattutto quando posti in ambienti collinari con pendenze
superiori al 15% dove tendono a perdere terreno fertile e a ridurre nel tempo sostanza organica ed elementi nutritivi, con conseguenze gravi sulla
qualità e la quantità delle produzioni. La meccanizzazione e la disposizione dei filari a rittochino favoriscono questi fenomeni, mentre l’inerbimento e
l’utilizzo delle cosiddette cover crop limitano questi effetti negativi, proteggendo prima di tutto dall’azione battente delle piogge.
A livello europeo è stato definito un tasso di erosione medio annuo tollerabile pari a 1,4 tonnellate per ettaro, valore al di sotto di quello
mediamente calcolato sia nei vigneti lavorati (6,6 t/ha) sia in quelli inerbiti (1,6 t/ ha). Le lavorazioni del terreno favoriscono il ruscellamento
delle piogge e riducono la capacità dei suoli agrari di ricaricarsi delle acque. Questa pericolosa situazione continua a peggiorare a causa dei
cambiamenti climatici, forieri tra gli altri fenomeni anche delle frequenti cosiddette “bombe d’acqua” che provocano i maggiori danni erosivi proprio
nei suoli non protetti. Dati europei stimano entro il 2050 la perdita fino a 3,76 t/ha di terra ogni anno: di fronte a questi scenari i viticoltori
dovrebbero adottare un’agricoltura conservativa e rigenerativa rivalutando il ruolo degli inerbimenti permanenti e delle cover crop. La lettura de “La
rivoluzione del filo di paglia” di Masanobu Fukuoka potrebbe aiutare a un cambiamento di paradigma anche i più convinti fautori della lavorazione del
terreno.
È vero che nel passato l’idea di una corretta gestione del suolo non andava d’accordo con la presenza di erbe nel vigneto, ma non tutto quello che viene
trasmesso dalla tradizione è necessariamente da prendere come oro colato. Le ragioni dell’insofferenza verso le erbe nel vigneto sono spesso da
attribuire a motivazioni esclusivamente estetiche che hanno portato, ad esempio, all’ossessione ancora viva in Toscana per la lavorazione del suolo,
ritenuta la pratica d’elezione per l’eliminazione delle “erbacce”. Tutto questo ha portato a una cultura agronomica deviante che ha compromesso la
vitalità dei suoli, con effetti tuttora presenti come la progressiva diminuzione della sostanza organica ai livelli allarmanti dei nostri giorni.
La crescita di vegetazione erbacea, lo stadio di successione ecologica corrispondente alla prateria, è di fatto la più importante e gratuita pompa di
carbonio del sistema agrario, la cui fonte è la fotosintesi clorofilliana, una risorsa vanificata per decenni dalla costante eliminazione della
vegetazione erbacea spontanea. Un errore tragico di cui oggi paghiamo quale principale conseguenza la perdita di fertilità del suolo.