ENOLOGIA

La microbiologia dei vini passiti tra tradizione e innovazione SIMONA GUERRINI1, GIACOMO BUSCIONI1, LISA GRANCHI2 1FoodMicroTeam S.r.l. 2Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari Ambientali e Forestali (DAGRI) dell’Università degli Studi di Firenze

La produzione dei vini passiti si basa su pratiche tradizionali i cui risultati non sempre sono ripetibili. Per gestire e controllare la qualità è necessario prima di tutto conoscere le popolazioni dei lieviti presenti sulle uve e nei mosti. Il caso del Vin Santo Toscano

L’Italia vanta l’eccellenza di molti vini passiti così chiamati perché ottenuti da uve appassite per concentrare zuccheri, sostanze estrattive di varia natura e in particolare quelle aromatiche. La Toscana non è da meno nella realizzazione di questa tipologia di vini, vantando eccellenze a Denominazione di Origine Controllata come il Vin Santo del Chianti Classico, di Montepulciano, di Carmignano o ancora l’Aleatico Passito dell’Elba. In molte realtà vitivinicole, la tecnologia per la produzione del Vin Santo è ancora legata a pratiche tradizionali che non prevedono alcun controllo sulle variabili di processo, con prodotti che variano così molto dal punto di vista qualitativo tra annate differenti. Con tali pratiche, infatti, è difficile gestire fattori quali ad esempio la temperatura, il microbiota associato alle uve o quello responsabile del processo fermentativo. Pur comprendendo la filosofia aziendale di gran parte dei produttori, legata a preziose tradizioni, rimane comunque la necessità di garantire al consumatore la costanza qualitativa dei vini finiti. Il primo passo in questa direzione è quello di conoscere la microbiologia delle diverse fasi del processo di produzione del Vin Santo.