ENOLOGIA

Bioprotezione: la vinificazione con la complicità dei microrganismi ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI

Il microbiota dell’uva, il mosto e il vino può essere controllato favorendo e introducendo alcuni lieviti non-Saccharomyces in grado di limitare lo sviluppo delle specie contaminanti, in un efficace gioco di squadra con Saccharomyces cerevisiae, i produttori e gli enologi

Il principio di esclusione competitiva, descritto dal biologo sovietico Geogy Gause nel 1934, spiega che, quando in un ambiente più specie occupano la stessa nicchia ecologica e competono per un fattore limitante, una prenderà il sopravvento sulle altre per impedirne lo sviluppo o per sostituirle. Per farlo in una comunità microbica ogni specie sviluppa strategie diverse, sottraendo nutrienti essenziali più velocemente delle altre o producendo composti tossici in grado di rendere l’ambiente inospitale.
Per fare un esempio una delle strategie di maggior successo è quella sviluppata da Saccharomyces cerevisiae, che nel corso della sua evoluzione ha “scelto” di produrre etanolo e di escludere così la maggior parte degli altri microrganismi, che non sono in grado di tollerarlo. Senza questo passaggio non saremmo qua a parlare di vino o di qualsiasi altra bevanda alcolica.
Ma negli ecosistemi enologici questo non è l’unico esempio: alcuni ceppi di Saccharomyces producono anidride solforosa, diversi lieviti e batteri rilasciano acido acetico o modificano il pH, altri sono dotati di glicoproteine di membrana conosciute come fattore killer, rilasciano tossine specifiche o sottraggono dal mezzo fattori essenziali per la crescita di altri microrganismi, ecc.
Grazie al crescere delle conoscenze e al miglioramento delle tecniche di indagine sulla composizione del microbiota dell’uva, del mosto e del vino, negli ultimi anni il ruolo, la diversità, i caratteri e le applicazioni enologiche dei lieviti cosiddetti non- Saccharomyces stanno sempre più emergendo.