CULTURA E SOCIETÀ Se la Traviata nasce in osteria BACCO TRA LE NOTE di ALBERTO ANGELINO Un’analisi originale, ma estremamente realistica, della più famosa e cantata aria d’opera inneggiante al vino Prima di tutto facciamo chiarezza: potete essere affascinati dai concerti in vigna e da produttori che vi garantiranno che il loro Merlot prospera con Mozart, ma nessun brano musicale vi racconterà davvero l’essenza del vino. Anche se la storia della musica descrittiva è disseminata di suoni di temporali, ruscelli, cinguettii, il vino per lo più sta in silenzio, con un’unica eccezione giustamente passata alla storia della musica: il rumore di un tappo che salta. Ecco, è da qui che dobbiamo partire, e si tratta in effetti di un incipit poco originale perché è il brano da cui cominciano tutti gli articoli dedicati a musica e vino: , atto I scena seconda, Alfredo e poi il coro “Libiamo nei lieti calici”. Pensate a quell’intervallo così slanciato sulle prime due sillabe: Fa-Re, perfettamente inquadrate nella tonalità di SIb maggiore. Quella che state sentendo è a tutti gli effetti un’onomatopea: il sughero si scalza (Fa) e l’aria si espande rumorosamente per il tempo di un’intera battuta (Re). Il resto lo fa la nostra fantasia che attribuisce alle note dei precisi significati sedimentatisi nella nostra cultura. L’aria è un valzer, scritto in tempo veloce di tre ottavi, e questo dice al nostro cervello che siamo a una festa. Ecco che tutto gira e vortica, prendendo slancio dal ritmo che sposta gli accenti insieme ai piedi dei ballerini, mentre le note staccate dell’accompagnamento creano un felice scoppiettio. Alla parola “calici” se anche il coro avesse in mano delle banane, noi visualizzeremo lo stesso coppe con le bollicine. Perché è questo il segreto: non sentiamo il vino, ma visualizziamo gli effetti, con l’allegria che produce, la convivialità del momento e ci immaginiamo un liquido tanallegro come il tempo del metronomo e chiaro come l’armonia semplice in cui l’ha collocato Verdi. É logico che avendo la musica questo potere sulla mente, ovvero evocare una bevanda che è stata la più importante energia ricreativa dell’umanità, può diventare funzionale nell’allestire una scenografia di note in cui muovere dei personaggi. E allora proviamo a girare attorno al salotto di Violetta Valery e capire come si sono formati quei suoni che ci fanno vedere Champagne dove ci sono solo persone che agitano bicchieri vuoti cantando su un palco. Gli esempi non mancano, l’opera italiana è costellata di beoni: prendiamo il conte di Almaviva nel che si presenta alla sua Rosina travestito da soldato avvinazzato. Qui da Traviata siamo lontani, il genio del pesarese è tutto nel comporre una marcia militare cadenzata, con tanto di pifferi, e metterci sopra un canto sguaiato e ripetitivo. Il grottesco in divisa, appunto. Tenetelo a mente mentre passiamo a un altro brindisi famoso un po’ più avanti nel tempo: . L’orchestrazione e l’armonia sono quelle cangianti di fine XIX secolo, ma ecco che, improvvisamente, si ritorna a una partitura di sapore verdiano in “Viva il vino scintillante”, intonata da Turiddu e coro. Il tempo è due quarti, ancora una marcia dunque, ma di certo meno cadenzata. Qui non visualizziamo gonne che ruotano: siamo a Vizzini, non a Parigi. Il vino è spumeggiante come intona la seconda strofa ed è evocato sempre da note staccate in una tonalità maggiore. Ma spumeggia perché zampilla dalle botti, non per l’anidride carbonica. E qui Mascagni usa, alla seconda battuta, una figura ritmica sincopata che nel nostro immaginario musicale associamo al fluire dell’acqua ed ecco che lo vediamo questo piccolo fiume di vino, fare una cascatella e riposare nel bicchiere scintillante. Gli elementi scenici sono come quelli della Traviata, (il protagonista e gente intorno che vuole solo godersi la vita), persino lo stile musicale in fondo, ma trasformati in elementi popolari. E c’è un’altra cosa in comune con l’aria verdiana: questa dedizione al vino non è proprio una cosa tanto positiva. Come che sfida lo spettro Commendatore con coppa in mano, anche in queste opere ci sono tutti gli elementi perché un bicchiere di troppo ci tolga i punti dalla Grande Patente. Perché l’alcool è lo stigma della leggerezza a cui è condannata una demi-mondaine, o perché Turiddu ci dice che è “come il riso dell’amante” che in un’opera in cui si accoltellano per questioni di corna suona profetico. Per capire come convivono tutti gli elementi di questo immaginario collettivo però dobbiamo tuffarci ne Non scandalizzatevi: il titolo ovviamente non ha lo stesso significato lascivo che gli attribuiamo oggi; si tratta di un brano per canto e pianoforte di per il quale (così come per il suo secolo) ‘orgia’ è al massimo una profusione di voluttà, dove il vino fa da carburante. Viene pubblicata nel 1835 in una raccolta destinata ad avere molto successo dal titolo , ma è probabile che risalga al periodo tra il 1824 e 1829, quando Rossini stava conquistando Parigi e ne era conquistato. Siamo nel campo di una musica per amateur, scritta con gli amici per gli amici, che nel suo caso erano i migliori cantanti e pianisti dell’epoca, tanto che questo è un inno al bel canto italiano di Primo Ottocento. Sorprende però che sentendo l’Orgia, dopo il primo atto della Traviata ci si accorge che in quelle note c’è già tutto il mondo di Violetta. “Amiamo, cantiamo le donne e i liquor/gradita è la vita fra Bacco ed Amor/ Se Amore ho nel core, ho il vin nella testa, che gioia che festa, che amabile ardor…” e più avanti “Danziamo, cantiamo, alziamo il bicchier, ridiam, sfidiam i tristi pensier“…e poi alla fine le nostre bollicine esplodono: “Balzante, spumante con vivo bollor/ e il vino divino del mondo signor”. Traviata, Verdi, 1853 Barbiere di Siviglia di Rossini Cavalleria Rusticana, Mascagni, 1889 Don Giovanni di Mozart L’Orgia. Rossini Soirées Musicales Non c’è pezzo più dionisiaco di questo, ma le analogie con Traviata non sono solo nell’ambientazione o nel testo del conte Pepoli. Spartito alla mano l’indicazione di tempo è la stessa: tre ottavi, identico anche l’intervallo iniziale Fa – Re. Se qui non saltano i tappi di Champagne è solo perché la seconda nota, invece di fare riverberare lo schiocco lo smorza in rivoletti saltellanti e puntati. Poi il fiume di ambrosia spumeggia più che mai e le bollicine scoppiettano. Puro divertimento, non c’è un peccato da redimere qui, nessuno muore: al massimo avrà un mal di testa la mattina dopo. Soprattutto è importante che sia un valzer, una danza che nel 1830 era ancora relativamente poco conosciuta in Europa ad eccezione della Francia e della Prussia Occidentale anche perché considerata una musica peccaminosa. Un po’ di pruderie per far arrossire le guance delle signorine in età da marito in un buon salotto borghese e far vendere un sacco di spartiti. L’orgia, la barcarola veneziana, i marinai, la tirolese, il pubblico di Rossini è affamato di soggetti popolari, quelli delle stampe economiche, meglio se fanno fantasticare una vita con più avventura e meno crinoline. La letteratura musicale da camera dell’epoca dei dimenticabili epigoni di Rossini e Donizetti come Florimo, Asioli, Tadolini, Bottesini, Gabussi, Bazzini, Dohler è piena di Gondolieri, Tirolesi, Marinai e Pescatori e ogni tanto anche di feste campestri dove si inneggia al vino in tempo ternario, note puntate e sincopi di ruscelletti. È una musica che tutti, nobili e popolani, conoscono benissimo, chi dal vivo, chi per averla sentita cantare per strada. Melodie che nascono sera per sera con un buon ritmo per mantenere unito il coro, un’armonia chiara e una cadenza precisa in modo che ci si possa oscillare con il bicchiere in mano, mentre un solista intona le strofe. E poi nelle taverne si balla, danze popolari dalla campagna in un ritmo ternario, tutte parenti della giga. Diamine, persino il valzer arriva dai tedeschi che certo non erano nati alla corte di un principe sassone! Volete ascoltare gli antenati della Traviata: fatevi un giro su Youtube a cercate le canzoni delle piole dell’Italia del Nord: vi divertirete a trovare le assonanze in certi . E infine fate l’esperimento più definitivo e dissacrante possibile: prendete la musica di “Libiamo” e cantateci sopra Cin cin port-me -n quartin. Il primo verso ci sta perfettamente e io vi avrò rovinato per sempre il piacere di ascoltare Traviata. Ma non vogliatemi troppo male per questo. Perché la musica non è quello che si sente ma quello che ricordiamo e se alla fine di tutto verrà in mente un buon vino, niente di quanto scritto in merito da Rossini, Verdi o Mascagni sarà andato perduto. L’orgia È sempre la musica popolare che conquista l’immaginario della musica colta, mai il contrario. Dimenticatevi quindi i salotti parigini: “Libiamo” nasce nelle osterie di paese. ländler valzer e musette dedicati al vino