CULTURA E SOCIETÀ

Per una semantica dell’uva: breve viaggio nell’ampelografia storica DANIELE VERGARI

“Gli agronomi italiani farebbero buon viso oggi ad un libro che registrasse tutte le varietà delle Uve che si coltivano nella penisola, ne stabilissero dei caratteri, ne determinassero la sinonimia per il variare delle forme e delle proprietà, per le differenze di dialetti, per la corruzione di nomi, e per la introduzione di varietà e di nomi stranieri, poco meno che inestricabile” 

(Adolfo Targioni Tozzetti, 1858)

L’ampelografia è una scienza abbastanza recente anche se non mancano riferimenti fin dall’epoca classica ai vitigni coltivati e presenti nelle campagne: spesso si tratta di poco più che citazioni di nomi riportati poi nei secoli successivi, fino a una determinazione più precisa della scienza ampelografica che avverrà solo nel corso del XIX secolo.
Per quanto anche le fonti classiche siano interessanti, delle vere e proprie descrizioni dei vitigni italiani iniziano a essere presenti nella trattatistica agraria a partire dal Medioevo con l’opera di Pier de’Crescenzi, De ruralia commoda (inizi XIV secolo), che ampia influenza ebbe nell’agricoltura italiana. Ma è nel corso del XVI secolo, in quella fase di studi rinascimentali così particolare, che troviamo interessanti fonti ampelografiche come il De naturali vinorum historia Italiae di Andrea Bacci (1524-1600) nel quale vengono riportati molti vitigni italiani accanto alle modalità di fare il vino. Si tratta spesso di descrizioni sommarie dove i caratteri morfologici della vite sono solo accennati e spesso la descrizione si ferma alla forma del grappolo e al colore dell’uva.
A livello italiano, nello stesso periodo, non mancano certo altre descrizioni di vitigni come quelle riportate nel Trattato della coltivazione delle viti – edito nel 1600 – di Giovanni Vittorio Soderini (1526-1596), o sono presenti e solo in parte edite, in un manoscritto fiorentino di Padre Agostino del Riccio dove sono “descritte” 47 “sorte” di uva con le principali qualità e caratteristiche.
Nel corso del secolo successivo nacque anche il termine ampelografia, unione del greco ampelos (vite) e graphein (descrivere) che Philipp Jakob Sachs (1627-1672) usò nel frontespizio del suo libro “fisico filologico- storico-medico-chimico” sulla vite, edito a Lipsia nel 1661. Non sono sufficienti i caratteri eleganti delle oltre 800 pagine dell’opera tedesca per comprendere la complessità dei caratteri morfologici della vite stessa e, soprattutto, per elaborare un sistema di classificazione delle numerose varietà esistenti.
Fra la fine del ‘600 e il ‘700 ci prova – almeno per la Toscana – Pier Antonio Micheli (1679-1737), che descrive nella sua Istoria delle uve (edito nel 2008 a cura di Vergari e Scalacci), da eccezionale osservatore qual era, le principali caratteristiche morfologiche di quasi 200 vitigni, molti dei quali reperiti nei terreni delle fattorie medicee presenti in Toscana, unite ad altre osservazioni sulla maturazione o sulla sinonimia dell’uva, una delle grandi questioni a cui tutti gli ampelografi anche dei secoli successivi cercarono di dare soluzione.