VITICOLTURA

La Valtellina eccellenza nella ricerca e la sperimentazione per la viticoltura di montagna

La Fondazione Fojanini di Sondrio da anni è punto di riferimento per la viticoltura valtellinese nella ricerca e sperimentazione delle soluzioni più adatte al miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità per la viticoltura di montagna

di DAVIDE MODINA

Le peculiarità della viticoltura montana richiedono un’attenzione particolare da parte del mondo della ricerca per rispondere alle specifiche esigenze di chi si trova a coltivare vigneti in condizioni spesso estreme, per altitudine, pendenza o difficoltà di meccanizzazione. Da questo punto di vista, la Fondazione Fojanini di Studi Superiori, che ha sede a Sondrio, è da decenni un punto di riferimento per la viticoltura valtellinese, promuovendo diverse attività sperimentali e di supporto alle realtà vinicole locali. Siamo andati a conoscere alcune delle attività e dei progetti ai quali l’istituto di ricerca lombardo ha recentemente partecipato in collaborazione con altri partner.

MIGLIORAMENTO VARIETALE E MANTENIMENTO DELLA BIODIVERSITÀ VITICOLA

La Fondazione Fojanini può contare su un campo collezione che raccoglie i biotipi di Chiavennasca e i vitigni minori o di antica coltivazione in Valtellina. Il campo è stato costituito grazie a un certosino lavoro di osservazione dei vigneti della zona e di raccolta di segnalazioni provenienti dai viticoltori, attività non certo conclusa ma che continua ancora oggi. In collaborazione con l’Università di Milano si sta indagando dal punto di vista genetico una parte dei vitigni qui conservati per individuare i profili unici e non riconducibili a varietà note o presenti in altri territori. Dall’altro lato si procede con la valutazione dei vitigni, sia dal punto di vista agronomico che da quello enologico. Questa attività ha permesso la recente richiesta di iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà di Vite di sei vitigni: Chiavennasca bianca, Rossola verde, Rossolino rosa, Negrera valtellinese, Brugnola e Bressana. Per quanto riguarda invece il lavoro sulla selezione di nuovi cloni della Chiavennasca e nell’ambito della collaborazione tra Fondazione Fojanini e vivai Giovannini Romano sono stati individuati due biotipi di Chiavennasca con caratteri migliorativi per quanto riguarda la produttività, la costanza di produzione e la sanità delle uve. Il dossier per l’iscrizione è stato inoltrato agli uffici ministeriali competenti per richiederne l’omologazione.

IL PROGETTO CHE SPERIMENTA I VANTAGGI DEI TRATTAMENTI CON IL DRONE

La strategia di difesa della vite è un altro aspetto su cui si concentrano le attività di ricerca. Quest’ultimo aspetto risulta infatti particolarmente importante se si pensa alle condizioni in cui si trovano a lavorare i viticoltori e in particolare alla difficoltà (ma molto spesso impossibilità) di accedere ai vigneti con i mezzi meccanici. Per dare un’idea, questo comporta che i trattamenti fitosanitari possano arrivare a essere fino al 300% più onerosi rispetto a quelli fatti in vigneti pienamente meccanizzabili. In questo senso, se da un lato si sta lavorando sia a livello di sensoristica che di modellistica per razionalizzare gli interventi, dall’altro si stanno sperimentando nuove tecnologie che rendano meno onerosa la distribuzione dei prodotti fitosanitari. In questo senso si muove il progetto AVIDROMO che ha come partner la Cooperativa Vitivinicola di Montagna e VIVASS, finanziato dal GAL. Cuore del progetto, grazie alla collaborazione col Servizio fitosanitario di Regione Lombardia che ha garantito l’ottenimento di una apposita deroga ministeriale, è la valutazione dell’utilizzo di un drone di ultima generazione per la distribuzione dei prodotti fitosanitari. Il suo impiego, in ambienti difficili come quelli dei vigneti valtellinesi, presenta vantaggi significativi. I risultati mostrano come il drone abbia un’efficacia quasi comparabile alla conduzione tradizionale della difesa fitosanitaria eseguita con la lancia a mano, distribuendo un volume di miscela notevolmente ridotto (circa 120 L/ha rispetto ai circa 1300-1500 L/ha della lancia a mano) e garantendo così anche un significativo risparmio di acqua. La velocità nell’esecuzione dei trattamenti è un altro punto a favore del drone: operando in volo automatico su appezzamenti già tracciati con il GPS, il drone è stato in grado di trattare una superficie di circa 1700 m2 in soli 6-8 minuti. Inoltre, i tempi tecnici per i rifornimenti di miscela antiparassitaria sono stati minimizzati, con il tempo totale di trattamento che risulta nettamente inferiore rispetto all’impiego della lancia a mano, che richiede per la stessa superficie dai 30 ai 45 minuti a seconda delle condizioni del terreno. Il drone offre anche vantaggi in termini di sicurezza dell’operatore, riducendone drasticamente l’esposizione ai prodotti fitosanitari. Al tempo stesso, la distribuzione del prodotto risulta più omogenea ed è un altro punto a favore del drone, come evidenziato dalle cartine idrosensibili posizionate all’esterno delle parcelle trattate. Infine, anche i fenomeni di deriva risultano trascurabili quando i trattamenti vengono effettuati con le giuste condizioni meteorologiche. In conclusione, nonostante alcuni punti critici (ad esempio la necessità di una mappatura dettagliata dell’orografia del vigneto per automatizzare i voli e un’efficacia ancora da migliorare sull’uniformità di bagnatura lungo tutta la parete fogliare), l’utilizzo del drone per la difesa della vite, per quanto ancora vietato dalla normativa, si presenta come una soluzione pratica, efficiente e sicura, con notevoli vantaggi in termini di risorse idriche e tempi di lavoro.