ECONOMIA Derthona, una storia di successo e un modello da seguire Il Timorasso, da reliquia a star enologica di MAURIZIO GILY Da ©Merum 1/24, edizione italiana per Millevigne La storia di questo vino ha inizio negli anni Ottanta in Piemonte, una regione nota più per i vini rossi che per i bianchi, a eccezione dell’Asti Spumante. C’è una frase attribuita alla baronessa Philippine de Rotschild che dice: “Non è difficile guadagnare con il vino, a parte i primi duecento anni”. Il paradosso si riferisce ai tempi lunghi necessari per affermare un marchio di prestigio, tale da diventare a tutti gli effetti un “classico” venduto a caro prezzo. Contraddicendo la baronessa, iI Derthona dei Colli Tortonesi, seppure ancora non si venda ai prezzi di uno Chateau Lafite, è diventato il vino bianco piemontese di riferimento della gamma medioalta nell’arco di un solo ventennio, o poco più. TERRITORIO: IL TORTONESE La città di Tortona si trova nel settore sud-orientale del Piemonte, ai confini con la provincia di Pavia a Est e non distante da quella di Genova a Sud. Fu fondata dai romani con il nome di Iulia Derthona su un lembo estremo di pianura padana, a ridosso delle colline del pre-appenino ligure, come porta delle vie del sale verso il mare, e porta della Gallia cisalpina verso Est: un importante crocevia di commerci. Le colline a Sud di Tortona sono tradizionalmente vocate alla viticoltura e alla frutticoltura (note soprattutto la pesca di Volpedo e la ciliegia di Garbagna), anche se l’arboricoltura negli ultimi decenni si è ridotta notevolmente. Anche la viticoltura sembrava in declino alla fine del ventesimo secolo, ma ha avuto invece un certo rilancio guidato soprattutto dal vitigno Timorasso. Siamo nella fascia climatica e geopedologica del cosiddetto bacino terziario del Piemonte meridionale, che da Ovest verso Est attraversa le Langhe, il Monferrato, le colline di Gavi e, infine, il Tortonese, per arrivare poi, oltre i confini regionali, all’Oltrepò Pavese. IL TIMORASSO Il Timorasso è un vitigno a bacca bianca alquanto diffuso fino ai primi decenni del Novecento in questa area del Piemonte, ed era presente anche più a Ovest, nell’Alto Monferrato, con nomi diversi. Era noto come un vitigno capace di dare vini fini, ma fu progressivamente abbandonato, a partire dalla ricostruzione post-fillosserica, a favore di altri vitigni come il Barbera e, tra i bianchi, il Cortese, più rustico e produttivo. Il Timorasso produce di meno e in modo meno costante, ha grappolo più compatto e buccia sottile, fattori che lo rendono sensibile alla muffa grigia. O almeno lo rendevano in quanto il miglioramento della tecnica viticola e soprattutto il cambiamento climatico hanno mitigato notevolmente il rischio. Negli anni ’80 del Novecento il Timorasso era quasi scomparso, restava qualche vecchio filare qua e là. UN NUOVO INIZIO Nel 1987 un giovane viticoltore diplomato alla “Scuola Enologica” di Alba, Walter Massa (nella foto), decide di vinificare in purezza 10 quintali di uva Timorasso, tutto quello che rimaneva in una vecchia vigna, e che suo padre aveva sempre assemblato con il Cortese. Il suo non era l’unico vino Timorasso esistente ma fu Walter a immaginare il potenziale della varietà e a intuire quella che è forse la sua dote più importante: il rapporto del Timorasso con il tempo, la vocazione dei vini all’affinamento in bottiglia. Un aspetto che probabilmente non era mai stato considerato in passato, visto che in Italia l’ipotesi di “invecchiare” un vino bianco, fino a pochi decenni fa, e con rare eccezioni, non era presa nemmeno in considerazione. A seguito delle degustazioni dei primi vini con qualche anno di bottiglia, condivise con altri produttori della zona e con esperti, molti si resero conto di questo potenziale. Ma erano passati già dieci anni quando altri due produttori, Paolo Poggio e Andrea Mutti, decisero di cimentarsi con nuovi impianti, e nel 1997 la consistenza del vigneto a Timorasso era appena di 3,5 ettari. Walter Massa