CULTURA E SOCIETÀ

Che ci fanno degli ubriaconi in Excalibur? I Carmina Burana

BACCO TRA LE NOTE di ALBERTO ANGELINO

Sotto la luna uno squadrone di cavalieri erompe dal castello di Camelot, pronto a dare battaglia alle forze del male. Il momento epico è sottolineato da un arcano coro femminile. Le voci spezzano il testo latino in un ritmo potente che sembra quello del galoppo o di un’evocazione demoniaca. Una musica intrisa di pathos e magia, degna del più famoso poema medioevale…
La maggior parte del pubblico ha conosciuto così i Carmina Burana, nel 1981, attraverso la colonna sonora del film Excalibur. Ma personalmente ricordo un altro momento che dava ai Carmina un significato di esoterico misticismo. Era il 1979 a Vignaledanza, il festival nato quell’anno per promuovere l’Enoteca Regionale del Monferrato a Vignale (AL). Una coreografia di Sara Acquarone interpretava i Carmina Burana con sei danzatrici tutte vestite di rosso, ciascuna con due fiaccole in mano sotto le volte gotiche della chiesa dell’Addolorata. Più medioevo di così…
Salvo che quella musica non ha nulla di medioevale e tanto meno di mistico, è stata scritta negli anni ‘30 del secolo scorso da un compositore tedesco, famoso soprattutto per il suo metodo per avvicinare i bambini alla musica. I testi in effetti sono medioevali, ma sono opera di un’allegra compagnia di ubriaconi, non di streghe. Questo mese “Bacco tra le note” vi porta a scoprire la storia di una bisboccia che comincia nel 1225 e arriva fino a Hollywood.
Per il momento concentriamoci sul compositore tedesco, per la precisione di Monaco di Baviera, dove è nato nel 1895. Si chiama Carl Orff, viene dalla borghesia bavarese, ha orecchio ed è curioso, forse troppo. Lascia i rigorosi studi accademici e scopre per conto suo Debussy, la tragedia giapponese, i quadri di Picasso, l’estetica di Kandinskij. Scrive opere, ma per lo più assorbe il meglio di un’avanguardia europea che a volte guarda all’antico per progredire, tanto che il musicologo Curt Sachs ha buon gioco a introdurlo alla musica del Rinascimento. Nel frattempo, fonda un istituto specializzato nell’educazione alla “ginnastica ritmica, musica e danza” con l’idea di avvicinare i bambini alle note in modo divertente, ad esempio insegnandogli a costruire piccoli strumenti a percussione.
A quest’uomo curioso nel 1934 capita sottomano una raccolta di poesie medioevali. È un codice miniato ritrovato all’inizio del ‘800 nel convento du Benediktbeuern in Baviera e pubblicato nel 1847 col titolo di Carmina Burana. Dentro c’è un po’ di tutto. Il monastero era un centro del sapere e vi passavano studiosi e studenti, sia religiosi che laici: quei clerici vagantes che giravano tra abazie e università in cerca di lezioni. I versi mischiano un latino che ha visto Cicerone col binocolo, e tedesco antico. Ci sono poesie di argomento satirico e morale, componimenti che sbeffeggiano gli ecclesiastici rasentando la blasfemia, poesie d’amore che spesso sconfinano nell’erotismo… Ma siccome i clerici vagavano per osterie tanto quanto per biblioteche, ci sono anche un bel po’ di canti bacchici e conviviali.
D’improvviso la curiosità di Orff si accende, la passione per la musica antica, per le percussioni, per le scale esotiche, tutto trova la sua collocazione. Compone di getto i primi due brani e consulta un esperto latinista per selezionare i poemi e costruire un percorso in quell’immenso zibaldone. Decide che l’opera si aprirà e si chiuderà con l’inno alla Dea Fortuna, “Imperatrix Mundi”. Un testo per cui crea una cornice abbastanza cupa: in fondo la fortuna è intesa come destino che dà e che toglie. Ma dopo questo doloroso promemoria possiamo anche divertirci.
Il brano che ci interessa di più è il 14mo dei 24 che compongono questa “Cantata scenica per orchestra, cori e solisti”: un testo conosciuto come “In Taberna”. Di fatto una sapida descrizione di quanto si può trovare in una locanda nell’Europa dell’anno 1200: botti piene e gente allegra che nella bisboccia dimentica ogni cosa.

Carl Orff
Carl Orff