In questo articolo verranno approfondite la situazione e le tendenze del mercato mondiale del vino sfuso e credo sia utile ricordare un’ovvietà che però
viene spesso dimenticata: per il consumatore finale il vino sfuso non esiste. Il
vino commercializzato sfuso tra gli operatori del settore vitivinicolo cioè è destinato a essere confezionato in bottiglie, bag in box,
fusti, ecc. per arrivare al consumo (la quantità di vino acquistato “sfuso” dal consumatore utilizzando proprie bottiglie è un volume marginale, in
declino e limitato localmente a determinate aree geografiche). L’implicazione di questa considerazione è che gli scambi di vino sfuso non devono
necessariamente riguardare vini standardizzati e “anonimi”. Dipende dal mercato e dalla clientela a cui ci si rivolge.
L’altra osservazione che riguarda il vino europeo in generale e quello italiano in particolare la esplicita Francesco Broz, Direttore
Commerciale Vino Sfuso di Collis Wine Group. “Il mercato del vino sfuso DOP e IGP a valore è in un certo qual modo chiuso all’interno dei confini
nazionali, regionali o provinciali a seconda dei vincoli legislativi stabiliti dai disciplinari riguardo alla possibilità di imbottigliamento fuori
dalla zona di produzione. Anche il quadro ampelografico nazionale ha nel tempo seguito questa tendenza.” “Il vino italiano” – prosegue Broz - “può
presentarsi sfuso sui mercati internazionali per lo più attraverso i vini varietali e i vini da tavola.” In altre parole, la valorizzazione dei vini
italiani con maggior qualità e tipicità attraverso l’imbottigliamento è sia una scelta delle cantine che una “necessità” creata dalla normativa.
Situazione questa che invece non si presenta per i vini prodotti nel Nuovo Mondo, dove l’origine di un vino è più un dato di fatto che di diritto.
L’effetto di queste due circostanze si riflette nel quadro del commercio nazionale e mondiale di vino sfuso.