CULTURA E SOCIETÀ

Vite parallele BACCO TRA LE NOTE dI ALBERTO ANGELINO

Ho avuto la tentazione di raccontarvi queste vite come fossero parallele, in fondo hanno amato le stesse cose nello stesso periodo, ma diciamoci la verità: i compositori di questa puntata di “Bacco tra le note” hanno poco in comune a parte il genio. Però c’è una storia: quella di due loro canzoni che sono inevitabilmente legate quando si parla di vino. In effetti, parlano entrambe di una bugia famosa: quella che si berrebbe per dimenticare, quando sappiamo tutti che il vino i ricordi non li cancella, si limita a incartarli nella melanconia.
E lo fa sia che tu abbia vissuto una vita “effervescente”, sia una relazione più “corposa”. E già qui, forse, dovreste aver capito di che vite parallele stiamo parlando: vite che magari non si incontreranno se non nell’infinito, ma che hanno intersecato la musica alla nostra amata bevanda.
Andiamo per ordine anagrafico: la vita numero uno appartiene a un milanese, nato nel 1939 dalle parti di Corso Sempione. Che non è l’Ortica o il Giambellino, ma comunque crescere lì, in strada, nel dopoguerra significa o rubare Lambrette, o cantare di chi ruba Lambrette. Lui sceglie la seconda opzione, anche perché a nove anni una poliomielite gli lascia una lieve paralisi alla mano e il padre gli regala una chitarra per fare riabilitazione divertendosi. L’idea dà buoni risultati, sia sotto l’aspetto medico, sia dal punto di vista artistico. Il ragazzo studia i jazzisti: sui dischi ascolta Barney Kessel, Tal Farlow e Billy Bauer, dal vivo Franco Cerri che si esibisce alla Taverna Messicana. La sua carriera da chitarrista inizia con «Ghigo e gli arrabbiati» all’Hot Club di Milano, gruppo con cui esordisce al festival jazz del 1954. Lì si fa ancora chiamare con il suo cognome: Gaberščik. Due anni dopo entra nei Rock Boys, il complesso di Adriano Celentano, con Enzo Jannacci al piano. È nata una stella e per il momento lasciamola lì, a brillare tra le balere.
La seconda vita appartiene a un tizio nato nel 1941 a Dawson, in Georgia. Non è proprio come nascere in corso Sempione, ma comunque non hai molte opzioni se sei di colore negli anni ‘40 da quelle parti. Canta nel coro della Chiesa Battista di Vineville e, siccome è bravo, diventa una celebrità locale vincendo il concorso per giovani talenti del sabato sera per quindici settimane consecutive. È logico che venga scritturato da una delle tante band che girano nei locali del Sud. Si arruola nei Johnny Jenkins e i Pinetoppers, poi a 19 anni i primi dischi con “Otis and The Shooters”. Otis è il suo nome .
È nata una stella, ma l’America è grande e ancora non se n’è accorta. A Milano Gaberščik forma i Rocky Mountains Old Times con Tenco, Jannacci, Paolo Tomelleri e Reverberi, poi Nanni Ricordi lo lancia come solista. Si semplifica il cognome, ma non la musica: Giorgio Gaber è capace di flirtare con il rock, il blues, il jazz, la musica d’autore, quella popolare e gli chansonniers della Rive Gauche parigina. Al pubblico piace la sua voce calda da cantante confidenziale che rende ancora più irresistibile la vena ironica che possiede quasi ogni sua canzone. Nel 1959 è al Musichiere, nel 1960 escono “Non arrossire”, “La ballata del Cerutti”, e dà a lì in poi è un successo dietro l’altro.
Nella patria del blues Otis Redding ancora sta sgobbando e sgomitando, finchè “These Arms of Mine”, diviene un piccolo successo, ma scrive anche “Respect” (proprio quello portato al successo da Aretha Franklin) ed è l’unico rappresentate del soul al Monterey Pop Festival. A metà novembre del 1967, dopo un’operazione alla gola, raduna d’urgenza tutti i suoi session men in sala di incisione. In convalescenza ha scritto un pezzo che si intitola “Sittin’on the dock of the bay”, più di una dozzina di canzoni. È carico, sente che il nuovo disco può diventare il manifesto di un Otis Redding, capace di assimilare i Beatles e persino il nuovo sound della California. Tra le canzoni che la band prova incessantemente c’è anche quella che ci interessa: si chiama “Champagne and Wine” e Otis la arrangia insieme ai fidati Alan Walden e Roy Lee Johnson. Le incisioni terminano il 7 dicembre con Otis consapevole di aver composto la risposta soul a Sgt. Pepper. Chiudono tutto e mandano il master alla ATCO Records. Tre giorni dopo, nella nebbiosa domenica del 10 dicembre 1967, l’aereo su cui sta volando insieme alla band precipita dalle parti di Madison. Un italiano che avesse acceso la TV nelle stesse ore vi avrebbe trovato Carosello con la pubblicità di Giorgio Gaber per Biancosarti. Ve l’avevamo detto che non erano vite parallele. Però… Uscito nel giugno del 1968 “Sittin’on” diventa subito un successo in tutto il mondo. Il singolo si trascina dietro due un album frutto di quella registrazione: “Dock the bay” e “The Immortal Otis Redding”, che arriva nei negozi il 15 giugno del 1968. Ed è lì che, come terza traccia del lato B, troviamo “Champagne ad Wine”. La canzone è un archetipo della musica soul, ascoltate l’uso ritmico del piano ripreso dal gospel e come il basso raccorda le varie parti. I fiati sono già funk: i Jackson Five, la Motown, tutti gli anni 70 sono già lì. Ok, ma siamo qui per parlare di vino. Otis Redding è morto a 26 anni, in un’America all’inizio della sua storia enologica, quindi, ci sta che a livello testuale la canzone contenga un’imprecisione: all’autore non sfiora nemmeno l’idea che lo “champagne” sia anche “wine”. Le parole sono usate come due tipologie di vino distinte e contemporaneamente sinonimo di una raffinatezza europea che lui vorrebbe poter offrire alla ragazza che ama. Su “champagne” la voce di Otis accentua la prima sillaba per dare tutta la freschezza del tappo che salta, su “wine” c’è un piccolo trillo dei fiati che introduce un’atmosfera rilassata. Pare di vederlo Otis: tanto per cambiare, è “sittin’on” a pensare… “alle ragazze che ho conosciuto, di tutte le ragazze che ho incontrato, tu sei l’unica che non riesco a dimenticare”. Segue un lungo elenco di ricordi e di promesse: adesso che è un uomo adulto può offrire il suo amore e “Champagne e vino”, come dire “il meglio del meglio” in fatto di gioia e tranquillità. Salvo che non sappiamo se questa è una promessa a un amore ritrovato, o perduto. Ma l’atmosfera malinconica fa supporre che no, tutte queste costose bevande “esotiche” non la riporteranno da lui. Gaber conosceva Champagne and Wine? Sarebbe strano se dopo l’arrivo in Italia di “Sittin’on” si fosse fatto sfuggire “The immortal Otis Redding”, e non gli si fosse accesa una lampadina. Fatto sta che nel 1970 esce per l’etichetta Vedette il 45 giri di “Barbera e Champagne”, presentato anche a Canzonissima nell’ottobre di quell’anno in un suntuoso arrangiamento. La copertina accredita testo e parole di Gaber, ma c’è lo zampino anche di Sandro Luporini, pittore e poeta viareggino che affianca quotidianamente Gaber in quegli anni.
Cos’hanno in comune Champagne and Wine e Barbera e Champagne a parte l’assonanza del titolo? Pochissimo. Nella canzone di Gaber il ritornello tradisce la sua origine di marcia popolare. Riprende i motivi usati nelle passerelle dell’avanspettacolo, mettendoci un po’ della romanesca “Nannì”, tanto per rimanere in tema di osterie. Ma il bello della canzone è proprio il contrasto tra l’andamento spensierato e la tristezza di due uomini abbandonati che invece di pensieri da raccontare nelle strofe ne hanno parecchi. I due vini vanno a segnare la distinzione sociale che potrà anche affidarsi a gusti e prezzi differenti, ma richiede lo stesso tasso etilico di fronte ai ricordi. Sul verso “triste con suo bicchiere di Barbera” la fisarmonica improvvisa in tonalità minore. Gaber non è meno geniale di Redding nel creare atmosfera, e allora ecco che la musica si scalda mentre i due uomini si accalorano nella politica, per poi abbracciarsi in un tango ed essere cacciati dal bar. La canzone finisce in modo più confidenziale con l’alba e la promessa di rivedersi. Pensandoci, però, anche questo articolo racconta di un accostamento improbabile quanto quello tra il disoccupato e il direttore di un giornale borghese della canzone. E, allora, la morale di questa storia potrebbe riguardare le strane assonanze che mette insieme il mondo della musica. Dove un tizio nato in Georgia, stando seduto su un molo, fornisce un’idea a un signore nato in Corso Sempione. Se c’è un paradiso dei musicisti, Gaber, arrivatoci il 1° gennaio del 2003, avrà brindato a questo con Otis Redding. Con cosa, però, solo Dio lo sa.