Per quanto la viticoltura non sia una delle attività agricole nelle quali si utilizzano più materiali plastici, come avviene nelle colture protette, il vivaismo e l’orticoltura, o anche nella produzione di uva da tavola, la plastica ha sostituito in pochi anni, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, molti materiali utilizzati in passato per l’attività agricola (il vimini o il salice ad esempio). Nella sua grande e rapida diffusione, legata alle ottime prestazioni, la disponibilità pressochè illimitata e l’economicità di un materiale che sembrava “fare miracoli”, a essere stati ignorati a lungo sono stati i costi ambientali.
Mentre già da diversi anni il mondo scientifico, i policy maker e l’opinione pubblica si stanno concentrando sui danni, i rischi e le possibili soluzioni per l’accumulo dei residui plastici negli ambienti marini e acquatici, solo recentemente l’attenzione si è rivolta alla plastica che si accumula nel suolo, con scarsissime possibilità di essere rimossa e con conseguenze sugli ecosistemi e sulle piante coltivate ancora non del tutto note ma che, man mano che crescono le conoscenze, si stanno rivelando sempre più preoccupanti.
Il livello di plastica nei suoli non dipende soltanto dai materiali e gli oggetti abbandonati nelle campagne: le microplastiche si sono accumulate per decenni nei suoli agricoli provenendo da fonti diverse, l’atmosfera, le acque irrigue e quelle di scorrimento delle strade ad esempio, ma anche in gran parte dai fanghi di depurazione e dal compost ottenuti dagli scarti alimentari o dai rifiuti solidi urbani e utilizzati come fertilizzanti e ammendanti.