Anche nel vino, solo il sfida le classico L a moda, usava dire il pittore catalano Salvador Dalì, è quella cosa che passa di moda. Per i produttori di uve il fatto che esistano le mode è prevalentemente un danno. Soprattutto per quei produttori che, invece di prevenirle, cercano di inseguirle, piantando vigneti con la varietà che in quel momento si vende bene e fa guadagnare. I quattro o più anni necessari dal momento in cui si progetta un vigneto a quello in cui il vino è sul mercato sono normalmente più lunghi della durata di una moda . Ma il peggio è che, siccome molti hanno avuto la stessa idea, mentre la domanda cala l offerta è magari raddoppiata e spesso la qualità peggiorata, visto che non si è posta l attenzione giusta a cosa e dove piantare. Risultato: crollo dei prezzi e lacrime inutilmente versate su investimenti malaccorti. A dimostrazione che la storia non insegna mai niente nei mesi scorsi abbiamo sentito, da rappresentanti ufficiali dei produttori, o, più spesso, da rappresentanti politici locali, auspicare l aumento o addirittura il raddoppio della produzione per qualche vino a DOC o DOCG che oggi incontra un certo successo. Perché perdere possibili quote di mercato? si domandano gli ottimisti promotori dello sviluppo economico locale . Risposta: perché proprio questo è lo scopo delle DOC e DOCG: mantenere l offerta sotto il livello della domanda, per sostenere il prezzo e quindi il reddito dei produttori. Per fortuna qualche segnale di buon senso arriva, oggi, soprattutto dal Veneto: dove molti hanno colto la minaccia che verrebbe dall allargamento dell area a DOC del Prosecco, necessaria per meglio tutelare il nome legandolo a un origine geografica, se questo venisse interpretato come invito a piantare prosecco anche in riva ai fossi o a sovrainnestare la Glera (nome oggi usato per indicare il vitigno) su tutto ciò che esiste. Se ne è parlato in un recente convegno ma si vedrà se alle parole seguiranno i fatti, ad esempio il congelamento degli albi o un lieve incremento circoscritto alle zone più vocate (e chiunque sia l incaricato di questa zonazione consiglio di metterlo sotto scorta). Intanto sempre in Veneto i produttori di Amarone hanno messo in atto misure concrete per ridurre il volume dell offerta mentre in altre regioni, con i listini a picco, si continua a perdere tempo in chiacchiere. Limitarsi però a volte non basta perché ci sono, appunto, le mode. Per loro natura le mode sono imprevedibili e sorprendono regolarmente gli esperti di marketing, anche i più bravi come gli australiani, facendo carta straccia delle loro previsioni. Come si sfugge alle mode? Prendiamo l abbigliamento. Una giacca rossa può essere di moda un anno, ma l anno l Editoriale mode di MAURIZIO GILY dopo potrebbe far ridere: lo stesso non vale per un abito grigio, meno glamour ma più longevo. Tornando a noi, forse non è opportuno che tutti (non parlo ovviamente delle grandi case vinicole nazionali ma dei piccoli produttori) abbiano in gamma tre spumanti, due passiti, quindici rossi e dieci bianchi per aver aggiunto ogni anno un prodotto più di moda che spesso cannibalizza gli altri (che quindi si fatica di più a vendere). Nel vino un marchio acquisisce valore più per la sua continuità che per la sua capacità di seguire le tendenze. solo il rapporto con il territorio, con i vitigni autoctoni, con il sapere del passato, con le tipologie che in quel territorio possono dare il meglio, a dare questa continuità. Innovare si può, anzi si deve, per fare vini migliori o per razionalizzare la produzione, ma non per il puro gusto di farlo. Piuttosto per raggiungere quel livello di qualità, quelle caratteristiche identitarie tanto elevate e almeno in parte ripetibili nel tempo da fare di quel prodotto un classico . Un risultato che non si raggiunge in pochi anni, ma al quale, almeno chi opera in aree ad alta vocazione, dovrebbe tendere con decisione. Ho recentemente partecipato a una degustazione di Barbera d Asti Nizza con diversi giornalisti. Una critica rivolta ai vini da molti colleghi è stata: vini troppo morbidi e concentrati e con troppo legno . In realtà questi vini sono in parte il frutto delle critiche di alcuni anni fa, talvolta provenienti dalle stesse persone: vini troppo diluiti e acidi . Mi sono permesso quindi di consigliare ai produttori di ascoltare i critici, ma non troppo, tanto non saranno mai contenti (se no che critici sarebbero?), e di seguire una loro strada, una loro idea di come deve essere quel vino: a mio modesto avviso nel caso specifico lo stanno già facendo egregiamente. Molti tra i più famosi chateaux francesi fanno due soli vini, un grand cru e un vino di secondo livello. Da duecento anni o più. E anche la bottiglia e l etichetta, se pure sono cambiate, l hanno fatto in modo da darlo a vedere il meno possibile. Per chi crea abiti abbandonare la linea dell anno prima è normale, ma se una cantina smette di fare uno o più vini che faceva o se il loro gusto cambia radicalmente i suoi clienti si chiedono se è stata venduta, se il titolare è morto eccetera. Quindi aggiungere nuovi prodotti alla gamma o modificare quelli esistenti non è di per sé sbagliato, ma è meglio pensarci bene: soprattutto deve essere parte di un progetto a lungo termine, oppure, se così non è, bisogna essere consapevoli di lanciare una meteora, con i rischi che ciò comporta. 3