Viticoltura Le forme tradizionali: solo paesaggio? di RICCARDO CASTALDI MAURIZIO GILY In questo breve viaggio tra il centro e il sud d Italia incontriamo tre forme di allevamento della vite che hanno segnato a lungo, diversificandolo, il paesaggio italiano e sono oggi in via di abbandono. Una sorta di museo vivente che andrebbe preservato se non altro per le sue valenze culturali. Ma non c è solo questo: indagando più a fondo scopriamo che, mentre la viticoltura contemporanea si indirizza verso un modello quasi standardizzato a livello globale, nella diversità che la tradizione italiana ci ha tramandato nulla è casuale, ma tutto si connette alla conoscenza dei territori, dei climi, dei suoli e dei vitigni autoctoni che la civiltà contadina aveva sviluppato nei secoli, insieme ad esigenze di autosufficienza alimentare che giustificavano spesso una coltura promiscua anziché specializzata: una sapienza che, sia pure nel quadro dei cambiamenti necessari alle mutate esigenze dei nostri tempi, andrebbe quanto meno riconosciuta e capitalizzata, e non semplicemente cancellata nella fretta di voltare pagina. L estrema variabilità delle condizioni pedoclimatiche e la ricchissima ed eterogenea base ampelografia che caratterizzano il nostro Paese sono le condizioni che hanno determinato la nascita e l evoluzione di un cospicuo numero di forme di allevamento, che non trova eguali in nessun altra nazione del panorama viticolo internazionale. Queste forme di allevamento, definite tradizionali, nel corso degli ultimi decenni hanno lasciato spazio per lo più alle controspalliere basse, portando alla perdita di uno degli elementi caratterizzanti la cosiddetta viticoltura di territorio. Il successo delle controspalliere basse Cordone speronato e Guyot deve essere ricercato nel fatto che, negli ambienti idonei, consentono di raggiungere livelli qualitativi di eccellenza e di rispondere ad esigenze di razionalizzazione e di meccanizzazione degli impianti viticoli. Se da un lato molte delle forme tradizionali non sono più economicamente sostenibili, per contro si deve considerare come le controspalliere, realizzate secondo un modello standard nelle condizioni più disparate, dall Alto Adige alla Sicilia, dall Alsazia al Sudafrica e al Cile, non sempre siano la soluzione ottimale per l ottenimento di impianti equilibrati, in grado di dare le giuste risposte sotto il profilo qualitativo. Anche se ritenuta legata al passato, la Pergoletta romagnola rientra a pieno titolo tra le forme di allevamento a chioma divisa , come GDC, Lyra e Scott Henry, potendo a ragion veduta rivendicare il ruolo di capostipite, a dispetto del fatto che il concetto di divisione della chioma sia stato La Pergoletta romagnola Nonostante siano piuttosto rari i nuovi impianti, la Pergoletta romagnola è ancora presente con un numero cospicuo di ettari, soprattutto in provincia di Ravenna, dove è stata per lungo tempo il sistema di allevamento di riferimento per Trebbiano romagnolo, Albana e Uva d Oro (Fortana). La Pergoletta romagnola presenta un sesto di impianto di 7 x 1 m e una struttura composta da pali, di castagno o di cemento vibrato, posti ogni 5 6 m lungo la fila e con un altezza fuori terra di 3,5 4,0 m. 6 La pergoletta romagnola (Castaldi).