VITICOLTURA di Riccardo Castaldi I nuovi incroci resistenti I progressi della genetica hanno aperto prospettive nuove, di grande interesse, e al tempo stesso inquietanti Già da qualche tempo stanno tenendo banco in molti convegni e discussioni le tematiche inerenti i più recenti ibridi interspecifici proposti per il settore viticolo. Il tema ha innescato grandi aspettative ma anche qualche lecita preoccupazione tra i produttori, come sempre quando arriva un innovazione in grado di determinare una forte rottura col passato. A dire il vero, anche se ce ne siamo quasi dimenticati, la moderna viticoltura è già venuta a contatto massicciamente con gli ibridi, dal momento che negli anni 50 si stima interessassero circa la metà della superficie vitata mondiale, raggiungendo estensioni molto elevate anche in Italia e in Francia. Questa generazione di ibridi, che aveva come peculiarità principale la resistenza alla fillossera e quindi non richiedevano innesto ( produttori diretti ), e inoltre tolleranti alla peronospora, venne messa al bando in quanto non ritenuta idonea alla produzione di vino qualitativamente accettabile: questo a causa della presenza nei vini ottenuti di molecole marcanti, ovvero il metilantranilato e il 2-aminoacetofenone, responsabili del sentore cosiddetto foxy, e il fureaneolo, che determina il sentore di simil-fragola; inoltre erano imputati di dare origine a livelli elevati di alcool metilico. L interesse per le opportunità offerte dall ibridazione si è riaccesa per costituire vitigni resistenti a peronospora e oidio, andando a ricercare i geni che sono alla base dei meccanismi di resistenza nelle viti americane e nelle viti asiatiche. Gli ibridi selezionati non hanno i difetti degli ibridi utilizzati in passato e, a seguito di ripetuti reincroci, presentano un patrimonio genetico che differisce anche solo per il 3% da quello della varietà di Vitis vinifera impiegata come 6 Johanniter: www.commons.wikimedia.org parentale, anche grazie alla tecnica dei marcatori molecolari (MAS) che consente di rintracciare i geni desiderati nel semenzale accorciando enormemente i tempi rispetto al miglioramento genetico tradizionale. Gli ibridi di prima generazione occupavano, negli anni 50, larga parte della viticoltura mondiale La coltivazione degli ibridi è ammessa solo nelle regioni che, dopo averli sottoposti a sperimentazione, li hanno inseriti nell elenco dei vitigni autorizzati. I pionieri del nuovo corso furono i vitigni bianchi Johannitter (creato nel 1968) e Solaris (1975), ammessi in Italia solo dal 2013. I vantaggi La spinta verso gli ibridi, nei quali taluni ripongono una fiducia incondizionata, è correlata con la possibilità di ridurre drasticamente il numero dei trattamenti fitosanitari, con implicazioni dirette sugli aspetti ambientali, salutistici, economici e tecnici della produzione viticola. Una difesa condotta con meno trattamenti permetterebbe di ridurre l impatto ambientale dell attività viticola, che consuma circa il 60% di tutti i fungicidi utilizzati in agricoltura in Europa pur interessando solamente il 3% della superficie agricola. Minori input chimici significano minori rischi per la salute degli operatori agricoli, i più esposti al rischio di intossicazione, minore immissione di prodotti chimici nell ambiente e infine migliore salubrità del prodotto (anche se va detto che il rischio sanitario connesso a residui di fitofarmaci nel vino non è in genere significativo).