L editoriale 4/2022 C osa ha rappresentato negli ultimi decenni in Italia la cosiddetta critica enologica? Diverse cose insieme: alcune notevoli, altre poco significative, altre ancora perfettamente inutili e anzi nocive. La stessa definizione di critico enologico è in tutta evidenza irritante, e stabilisce un incolmabile distanza iniziale con il lettore. Vignaiolo è un termine evocativo, direi anche affettuoso; produttore ha una connotazione più fredda, ma non fa immediatamente girare le scatole come critico . Fare il critico è quindi per statuto una posizione scomoda, perché si è degli apolidi, come gli arbitri di calcio: corrotti per i giocatori, incompetenti per il pubblico sugli spalti. Vale anche a specchio, corrotti per il pubblico, incompetenti per i giocatori. Questa antipatia costituzionale non viene depotenziata nemmeno da un comportamento virtuoso, da una solida preparazione, da valutazioni deontologicamente corrette. Figuriamoci quando il critico è di parte, o peggio impreparato, o peggio ancora prezzolato. La figura del critico enologico ideale l ha tratteggiata con efficacia il grande Luigi Veronelli, ormai parecchio tempo fa. Per Veronelli il buon critico è colui che per prima cosa cerca i pregi in un vino. E poi, nel caso, è costretto a registrarne i difetti. L attitudine giusta è quindi di apertura, per così dire di solidarietà pregiudiziale verso l oggetto della propria valutazione. Una postura fondamentale per qualsiasi critico - letterario, musicale, cinematografico, d arte, eccetera -, senza la quale perfino la poesia del sommo Dante può risultare incomprensibile o perfino ridicola. Il cattivo critico, all opposto, è invece colui che per prima cosa si dispone a cercare il pelo nell uovo. A sciorinare un elenco di mancanze, vere o presunte, in un certo vino: questo qui ha avuto problemi di malolattica, quest altro viene da una cattiva presa di legno, quest altro ancora ha un alcol troppo elevato, e via andare. Credendo così di dimostrare, a se stesso e ai suoi lettori, la sua grande competenza. A me non la si fa , è il sottotesto, nemmeno tanto nascosto. Il cattivo critico è uno dei problemi maggiori della letteratura di settore, in Italia e altrove. Come ho scritto in varie altre occasioni, è un semi-saggio dannoso, parafrasando l acuto aforisma di Goethe: I pazzi e i saggi sono ugualmente innocui. Sono i semi-pazzi e i semi-saggi a risultare pericolosi . E difatti Veronelli, nella sua alta conoscenza, era quasi indistinguibile da un neofita quando assaggiava un vino. Sembrava gli piacessero tutti i vini. Non doveva dimostrare la sua competenza criticando, nel senso deteriore del termine. Se questa è l attitudine del critico ideale, qual è la sua declinazione in salsa italiana in epoca moderna e contemporanea? A parte Veronelli, che ha continuato a dispensare saggezza fino alla sua scomparsa, nel 2004, e a qualche firma isolata, la parte più significativa del giornalismo specializzato ha operato nel settore delle guide. Qui si aprirebbe un ginepraio insidiosissimo di considerazioni potenziali, dal quale non uscirei in modo esaustivo se non dopo una ventina di volumi da mille pagine. Tagliando con l accetta, la posizione critica delle guide si è mossa dapprima seguendo il vento della moda dei vini iper concentrati, iper tecnici, iper appiattiti su un modello stilistico tirannico e ripetitivo, quello del rosso che doveva bordoleseggiare. Un modello importato dalla stampa americana e abbracciato con poche o nessuna riserva. In questa fase, grosso modo tra la fine degli anni 80 e i primi anni Duemila, venivano premiati o comunque ben valutati i vini che rispondevano a precisi criteri preventivi: colori saturi, profumi primari e boisé, sapori morbidi, dai tannini inoffensivi (se rossi) e dalla debole acidità (se bianchi). Che non si riuscisse a rintracciare alcun legame con la tradizione di un determinato territorio era un dettaglio marginale. Un Chianti, un Taurasi, perfino un Barolo, dovevano piegarsi a sembrare un Pauillac. Ricordo bene le sessioni di degustazione dell epoca: vini classicamente poco colorati come un Grignolino, un Pelaverga, un Rossese, venivano derisi (figuriamoci un 1 EDITORIALE La critica enologica in Italia negli ultimi trent anni
EDITORIALE - La critica enologica in Italia negli ultimi trent'anni di Fabio Rizzari