4/2022 di CINZIA MONTAGNA 57 Un interessante viaggio nella storia delle parole del vino e dei loro significati, reali e metaforici La maggior parte delle parole del mondo del vino è di genere femminile. Lo sono le più comuni, da vigna a uva , da vite a vendemmia , ma lo è anche la maggior parte dei termini tecnici o relativi alle fasi di lavorazione. Pensiamo a barbatella , invaiatura , potatura , maturazione , per citarne alcuni. E non è solamente la lingua italiana a parlare del vino al femminile, ma anche le varie parlate dialettali. Qualche esempio lo dimostra. La topia è la struttura, così chiamata in varie aree del Nord Italia, simile a un portico aperto su cui s arrampicano le viti e che rappresenta uno degli elementi della corte e della cascina, un luogo sotto il quale riposare e conversare in penombra. La brenta è il contenitore in doghe di legno, simile a una gerla, che si usava per spostare l uva o il vino e che è diventata anche un unità di misura corrispondente a 50 chilogrammi. La cavagna è la cesta della raccolta, la navasa il tino grande, dove l uva veniva versata, pronta per la pigiatura , altra parola al femminile. Se la geografia dei termini in rosa nel mondo del vino va da Nord a Sud della penisola, più ampia ancora è la sua storia, con un forte richiamo originario alla Madre Terra, la Grande Madre, la Potnia del mondo greco derivata da quello miceneo e declinata sino a indicare anche la padrona di tutti gli animali. Divinità presente nei culti dell antichità, segnale di un epoca di matriarcato riconoscente verso la donna come generatrice di vita, tal quale la terra, la figura femminile collegata al vino si ritrova in varie espressioni letterarie di civiltà diverse. Nell Epopea di Gilgamesh (2600/ 2500 a.C.), il testo sumero più importante e diffuso in area mesopotamica, risultato dalla raccolta di vari racconti mitologici su Gilgamesh, Re di Uruk, circolanti sin dal VII sec. a.C., si trova una particolare figura femminile connessa con il vino. Narra il poema che Gilgamesh, deciso a ottenere l immortalità, si mise in cammino per andare oltre i confini del mondo conosciuto, là dove l immortalità si trovava. evidente la metafora fra il mondo dei vivi e il mondo dell eternità. Sul confine fra i due mondi, il re di Uruk incontra Siduri, un ostessa, una taverniera, la donna che fa il vino. lei che può indicare la strada al mondo altro, lei che è custode del passaggio. Dopo una serie di domande al fine di accertarsi della vera identità di Gilgamesh e capirne le motivazioni, Siduri fornisce al re le informazioni per raggiungere le terre sconosciute. Così riporta la Tavola X dell Epopea: Gilgamesh parlò a lei, alla taverniera: Ora, oh taverniera, qual è la via per arrivare a Utnapishtim (il sopravvissuto al diluvio, colui che vede la vita eterna, n.d.r.)? Indicami la direzione, qualunque essa sia; dammi le coordinate. Se è necessario attraverserò il mare, se no, vagherò nella steppa . [ ] C è, oh Gilgamesh, il traghettatore di Utnapishtim: Urshanabi. Egli, che potrai riconoscere da quelli di pietra, nel bosco taglia tronchi d alberi. Va ! Possa egli vedere la tua faccia! Se è possibile, attraversa con lui il mare, se non è possibile, torna indietro! . La lettura del passo induce a pensare a una metafora in cui il vino, con la sua capacità di estraniare dalle cure terrene, aiuta a riflettere su temi profondi. Non il vino nella sua identità edonistica, quindi, non come strumento di piacere, sta nel riferimento all ostessa Siduri. La quale ha una funzione sacerdotale CULTURA E SOCIET Ph: Massimiliano Serra Il vino è femmina? Ph.: Monica Massa Museo contadino all aperto, Vignale Monferrato