
Di deroga in deroga Michele A. Fino
A fine luglio, la Commissione Europea ha corretto il regolamento già approvato nel 2021 e ha deciso che slitteranno nella pratica in avanti le date per
l’obbligo di mettere in etichetta quattro informazioni che, senza questo corrigendum, a partire dal prossimo 8 dicembre su ogni etichetta di vino e
vermouth avremmo dovuto trovare:
- L’energia per 100 ml di prodotto espressa in calorie.
- L’eventuale imbottigliamento in atmosfera protettiva (se si usano gas inerti per prevenire l’ossidazione del prodotto).
- L’elenco degli ingredienti per produrre il vino, ivi compresi gli additivi e gli eventuali coadiuvanti allergenici (facendo riferimento all’’allegato I, parte A, tabella 2, del Regolamento delegato (UE) 2019/934.
- La tabella nutrizionale standard, come definita nel Regolamento 1169/2011.
Per facilitare le operazioni, i punti 3 e 4 potranno essere soddisfatti con un QR Code che dalla etichetta rimandi direttamente a una pagina internet
(priva di qualsiasi informazione di carattere commerciale o promozionale e senza che ci sia alcuna tracciatura delle visite) su cui elenco e tabella
nutrizionale di quel vino dovranno essere pubblicati e mantenuti aggiornati: il motivo di questo è che, a differenza di altri alimenti, una tabella
nutrizionale sul vino riporta sempre zero per quanto concerne grassi e proteine, quindi imporne la stampa sulla bottiglia non è così rilevante.
L’obiettivo generale del legislatore è assoggettare anche il vino alle regole che ormai da almeno 7 anni vigono per la generalità di alimenti e bevande:
dopo questa innovazione, infatti, continueranno a non indicare ingredienti e valori nutrizionali solo gli alcolici non “vinosi”.
Ora, in Italia si
è festeggiato questo rinvio. Così come a suo tempo si sono festeggiati i rinvii dell’etichettatura ambientale (materiali dell’imballaggio e indicazioni
per il riciclo) mentre ci si è ampiamente stracciati le vesti per evitare che si potesse anche solo parlare di health warning sul tipo di quelli
richiesti in Irlanda, sugli alcolici, a partire dal 2025. Ma, io mi chiedo, è davvero questo atteggiamento di chiusura totale a ogni
cambiamento un atteggiamento che ha senso e soprattutto è produttivo per i produttori di vino?
Vorrei esporvi tre ragioni per cui forse non è
così.
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Il vino perde terreno nelle scelte dei consumatori e soffre la concorrenza di alcolici più graditi oltre a quella dei soft drink: perché non approfittare di una etichetta finalmente più trasparente per cercare di recuperare terreno? Nel vino l’alcol non è un ingrediente come in un amaro o in un alcol pop: perché non valorizzarlo attraverso le nuove opportunità di etichettatura, volontariamente? La lista ingredienti del 90% dei vini, infatti, già oggi, può essere: uva, anidride solforosa.
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In Italia è vietato zuccherare i mosti. I nostri vini sul mercato internazionale possono distinguersi molto nettamente da quelli di aree vinicole francesi e tedesche anche per l’elenco ingredienti: perché non approfittarne, abbracciando la novità?
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I consumatori sono abituati a trovare informazioni puntuali e trasparenti su quasi ogni elemento del carrello: siamo sicuri che riescano a continuare a fidarsi di un prodotto che viceversa, in ogni sede, attraverso propri esponenti, politici e fiancheggiatori vari, rifiuta di dare informazioni riguardo al riciclo degli imballaggi, agli ingredienti, alle qualità nutrizionali, alle conseguenze (ormai assodate) del consumo di alcol?
Insomma, quello che io mi chiedo e vi chiedo, lettori di Millevigne, è: ma voi mettereste la mano sul fuoco che queste deroghe lungamente richieste e
questi rifiuti di cambiare facciano davvero gli interessi del settore del vino o non siano, invece, solo dei riflessi condizionati (mi chiedi qualcosa
di nuovo? Manco per sogno!) che di fatto bloccano un settore che diversamente potrebbe abbracciare la novità e cogliere opportunità importanti?
Sempre di più, raccolgo elementi che mi confortano nell’idea che i consumatori non siano bambini da tenere all’oscuro di ciò che fanno i genitori,
perché questi ultimi sanno ciò che è meglio per loro. E contestualmente mi chiedo: che senso ha progettare, e finanziare con gli ingenti fondi OCM,
campagne di comunicazione a sostegno della vendita del vino italiano, se non siamo disposti a iniziare un rapporto seriamente equilibrato e trasparente
con chi acquista, ma soprattutto stappa le nostre bottiglie?