VITICOLTURA Alta Langa: dalla viticoltura di ieri a una nuova idea di vino MAURIZIO GILY Un progetto di spumante metodo classico tutto piemontese La storia moderna della viticoltura in Alta Langa è la storia di un ritorno, quello della coltura della vite in un territorio di alta collina e montagna, in buona parte aspro, ricco di boschi e di pascoli, che spesso in inverno (ultimamente meno spesso) si ricopre di una spessa coltre di neve. Un territorio che la vite aveva in parte colonizzato, soprattutto a cavallo tra Ottocento e Novecento, e poi, dal secondo dopoguerra, progressivamente abbandonato, mentre anche la presenza dell’uomo si faceva rarefatta, con l’esodo verso le valli, le città, le industrie. In un’agricoltura basata soprattutto sul bosco, le castagne, le nocciole e l’allevamento del bestiame, alla vite venivano riservate per lo più terrazze impervie, aride, inadatte alla produzione di foraggio, soprattutto per il consumo familiare di vini senza troppe pretese. Tuttora sono visibili, soprattutto in alta Valle Bormida, i muretti a secco in “pietra di Langa” che sostenevano i vigneti, e in parte ancora sostengono qualche filare di Dolcetto nei “sorì” dove matura meglio, regalando vini eccellenti: era questo il vitigno un tempo più diffuso nella fascia preappenninica del Piemonte, per la sua precocità di maturazione, che si adattava quindi a un clima dalle estati più brevi che nelle terre del Nebbiolo e della Barbera. Il progetto dello spumante Alta Langa nasce negli anni Novanta del Novecento. A dispetto del proverbiale tradizionalismo dei Piemontesi è un progetto che assomiglia piuttosto a certi progetti pianificati tipici del Nuovo Mondo: si ragiona sulla vocazione teorica di una certa area a produrre un certo prodotto per il quale non esiste in quell’area una tradizione consolidata, sulla base dello studio del clima, dell’orografia, delle caratteristiche dei suoli; si avvia un progetto pilota per confrontare, con le ipotesi teoriche, la risposta sul campo dei vitigni classici della Champagne, Chardonnay e Pinot nero; visto che l’idea funziona si mettono a punto i primi dettagli e si avviano i nuovi impianti. - A partire dalla fase sperimentale e poi con l’istituzione della DOCG nel 2011 le superfici e la produzione in bottiglie di Alta Langa DOCG sono cresciute fino agli attuali 3 milioni di bottiglie prodotte e 378 ettari iscritti alla DOCG Figura 1 IL PIEMONTE E LO SPUMANTEMETODO CLASSICO La storia dello spumante italiano, per lo meno come fenomeno di importanza commerciale, comincia a metà dell’Ottocento a Canelli con Carlo Gancia, reduce dall’esperienza di cantiniere in Champagne. Originale fu l’utilizzo del vitigno bianco tipico della zona, il Moscato che pose le prime basi per l’Asti spumante. Ben presto la famiglia Gancia e gli altri spumantisti che nel frattempo si erano affacciati sul mercato vollero cimentarsi anche con i tradizionali vitigni non aromatici della Champagne, cioè Pinot nero e Chardonnay. Ma in Piemonte se ne coltivavano pochi ettari e i vignaioli restavano fedeli ai vini rossi e al Moscato. Per decenni, e fino a ieri, il principale bacino di fornitura di queste uve fu l’Oltrepò pavese. Il progetto Alta Langa nacque con l’obiettivo di realizzare uno spumante metodo classico tutto piemontese, all’interno di una filiera controllata con criteri molto rigorosi. Paesaggi di Alta Langa: Borgomale (CN) UNA NUOVA VITICOLTURA L’area prescelta si estende oltre l’Alta Langa propriamente detta, verso Est, e comprende un’ampia fascia pre-appenninica del Piemonte meridionale, coinvolgendo tre province: Cuneo, Asti e Alessandria. Un’area piuttosto vasta (ma ben più piccola della Champagne) di media e alta collina, per lo più con notevoli pendenze, che rendono la coltivazione impegnativa. Le brezze di monte notturne, che dall’Appennino ligure scendono verso la pianura, sono fresche e secche e preservano la sanità dei grappoli dalle muffe, sebbene la piovosità dell’area sia superiore a quella della bassa Langa e del Monferrato. Una viticoltura finalizzata alla produzione di una base spumante ha richiesto ai viticoltori piemontesi uno sforzo di adattamento. Qui non si cerca il grado zuccherino elevato, né la sintesi del colore nella buccia o la maturazione dei vinaccioli, ma la freschezza e l’integrità del frutto. La vendemmia deve essere esclusivamente manuale. L’Alta Langa è un’area piuttosto diversificata anche climaticamente, ma, considerando una quota di 400-450 metri come pietra di paragone, possiamo dire che siamo su temperature medie che stanno a metà strada tra Reims e Alba (secondo quanto riportato da nelle medie ventennali la temperatura media annua a Reims è di 10,18°C, ad Alba di 12,81°C e a Borgomale in Alta Langa di 11°C). Questo clima temperato, pur nella differenza tra le diverse annate, assicura una buona maturazione delle uve tutti gli anni, e le annate “negative” sono davvero rare, salvo per quei vigneti occasionalmente colpiti dalla grandine: un fenomeno che nell’ultima stagione ha colpito pesantemente una parte dei vigneti, e che il cambiamento climatico in atto sembra rendere più frequente e devastante. Anche grazie a questa costanza qualitativa il disciplinare Alta Langa prevede che tutti i vini siano millesimati, cioè portino in etichetta la data di vendemmia. Il periodo minimo di affinamento sui lieviti è di 30 mesi, il più lungo tra gli spumanti metodo classico italiani (e più dello Champagne), che diventano 36 per la tipologia Riserva. Climate Date LE SCELTE DI FONDO La sperimentazione in campo alla base del progetto Alta Langa fu attuata a partire dal 1990 sotto la guida di Lorenzo Corino, dell’allora Istituto Sperimentale per la Viticoltura (oggi sezione del CREA), recentemente scomparso. La sperimentazione ebbe lo scopo di fissare le regole basilari per i nuovi impianti. La scelta dei vitigni Pinot nero e Chardonnay doveva essere meglio focalizzata, verificando quali fossero le varietà più indicate, tra queste due, per le diverse zone, e, all’interno della varietà, i migliori cloni e i migliori portinnesti, nei differenti contesti, per la produzione di uno spumante metodo classico. La fascia collinare della DOCG Alta Langa si trova, da un punto di vista geologico, ai limiti meridionali del cosiddetto bacino terziario piemontese, costituito da marne calcaree sedimentarie marine, e si spinge fino al corrugamento appenninico vero e proprio con le sue rocce metamorfiche. I suoli, pur nella loro diversità, sono essenzialmente franco-argillosi e calcarei, con percentuali variabili di limo e sabbia. I suoli più ricchi di argilla e di colore più scuro, e le posizioni più fresche, con una media radiazione solare, sono considerati più adatti al Pinot nero, vitigno più esigente e più precoce nella maturazione, mentre lo Chardonnay è per sua natura più adattabile, sia per quanto riguarda il clima che il suolo. La “regola” fissa una densità minima di 4.000 viti per ettaro, la coltivazione a spalliera, la potatura a Guyot o a cordone speronato (entrambi i vitigni si prestano anche alle potature corte, non tradizionali in Piemonte, grazie alla buona fertilità delle gemme basali). UN VIGNETO PIÙ “VERDE” Il viticoltore dell’Alta Langa, rispetto al suo collega produttore di Barolo o Barbera d’Asti (che poi spesso è lo stesso viticoltore), ha imparato a parlare con le viti una lingua diversa. Qui l’obiettivo è una maturità equilibrata nella componente acida, capace di conservare la freschezza di un frutto ancora croccante. Il colore dell’Alta Langa è il verde: quello dei prati e dei boschi che circondano i vigneti; quello delle foglie, ancora verdi al momento della raccolta; quello della vegetazione spontanea che normalmente viene lasciata nell’interfilare, quasi sempre inerbito e mai diserbato chimicamente; quello dei grappoli di Chardonnay nelle parti meno esposte al sole. La fertilizzazione è modesta e basata, spesso, sulla concimazione organica e sul sovescio con leguminose: la lenta decomposizione dei concimi organici e dei residui delle leguminose, capaci di fissare l’azoto atmosferico, permette un rilascio graduale dell’azoto alle radici, evitando l’invecchiamento precoce della chioma a fine estate e assicurando un buon contenuto di aminoacidi nell’uva, fondamentali sia per alimentare i lieviti (anche nelle condizioni piuttosto stressanti della rifermentazione in bottiglia a bassa temperatura) che per la formazione dei precursori aromatici. Nota: il presente articolo è in parte tratto dal contributo editoriale dell’autore al libro “Alta Langa, storia di una denominazione” pubblicazione riservata ai soci del Consorzio di Tutela Alta Langa, edita dal Consorzio stesso. Si ringrazia il Consorzio Alta Langa per le foto. Biodiversità in Alta Langa DISCIPLINARE ALTA LANGA BIANCO E ROSÈ, GLI ELEMENTI PRINCIPALI Varietà: Pinot nero e Chardonnay dal 90 al 100%. Vitigni autoctoni non aromatici (solitamente Nebbiolo) massimo 10%. Altitudine minima dei vigneti 250 metri. Densità minima 4000 viti/ha. Resa massima in uva 11 ton/ha, resa massima uva-vino 65%. Presa di spuma in bottiglia secondo il metodo classico. Affinamento sui lieviti minimo 30 mesi, 36 mesi per le versioni Riserva. Annata obbligatoria in etichetta, taglio con vini più giovani o più vecchi ammesso nella misura massima del 15%. L’agenda del vitivinicultore disponibile da fi ne novembre. Per ordinare questa ed altre pubblicazioni Vit.En. info@viten.net www.viten.net