La storia moderna della viticoltura in Alta Langa è la storia di un ritorno, quello della coltura della vite in un territorio di alta collina e
montagna, in buona parte aspro, ricco di boschi e di pascoli, che spesso in inverno (ultimamente meno spesso) si ricopre di una spessa coltre di neve.
Un territorio che la vite aveva in parte colonizzato, soprattutto a cavallo tra Ottocento e Novecento, e poi, dal secondo dopoguerra, progressivamente
abbandonato, mentre anche la presenza dell’uomo si faceva rarefatta, con l’esodo verso le valli, le città, le industrie.
In un’agricoltura basata soprattutto sul bosco, le castagne, le nocciole e l’allevamento del bestiame, alla vite venivano riservate per lo più terrazze
impervie, aride, inadatte alla produzione di foraggio, soprattutto per il consumo familiare di vini senza troppe pretese. Tuttora sono visibili,
soprattutto in alta Valle Bormida, i muretti a secco in “pietra di Langa” che sostenevano i vigneti, e in parte ancora sostengono qualche filare di
Dolcetto nei “sorì” dove matura meglio, regalando vini eccellenti: era questo il vitigno un tempo più diffuso nella fascia preappenninica del Piemonte,
per la sua precocità di maturazione, che si adattava quindi a un clima dalle estati più brevi che nelle terre del Nebbiolo e della Barbera.
Il progetto dello spumante Alta Langa nasce negli anni Novanta del Novecento. A dispetto del proverbiale tradizionalismo dei Piemontesi è un progetto
che assomiglia piuttosto a certi progetti pianificati tipici del Nuovo Mondo: si ragiona sulla vocazione teorica di una certa area a produrre un certo
prodotto per il quale non esiste in quell’area una tradizione consolidata, sulla base dello studio del clima, dell’orografia, delle caratteristiche dei
suoli; si avvia un progetto pilota per confrontare, con le ipotesi teoriche, la risposta sul campo dei vitigni classici della Champagne, Chardonnay e
Pinot nero; visto che l’idea funziona si mettono a punto i primi dettagli e si avviano i nuovi impianti.