ENOLOGIA Quando il vino è instabile PAOLA DOMIZIO L’ uso della bentonite è il metodo più utilizzato per rendere stabili i vini e prevenire gli intorbidamenti proteici. Tuttavia si stanno studiando e valutando molte altre tecniche, prodotti e trattamenti fisici Il contenuto proteico totale non rappresenta un corretto indicatore della stabilità proteica di un vino a causa dell’influenza di diversi componenti presenti nella matrice. Inoltre l’analisi della concentrazione proteica non è facile da determinare in cantina. Per questo , misurando la sua reattività a un trattamento destabilizzante. La denaturazione, e quindi la precipitazione delle proteine, viene cosi “forzata” mediante metodi chimici o fisici, ad esempio con l’utilizzo di temperature elevate o con l’aggiunta di acidi, di etanolo o di tannini. Ovviamente, nessun test potrà mai riprodurre perfettamente il fenomeno naturale, rischiando a volte di sovrastimare il livello di instabilità. D’altra parte è necessario utilizzare un test che consenta di fornire una risposta in tempi brevi, allo scopo di prendere velocemente decisioni sugli eventuali trattamenti di stabilizzazione. Sulla base dell’esperienza acquisita, e di un proprio archivio di dati ottenuti vendemmia dopo vendemmia, l’enologo potrà interpretare al meglio i risultati ottenuti dai test, adottando di conseguenza un protocollo di intervento adeguato. Tra i vari test disponibili, il test a caldo sembra essere il più appropriato in quanto consente di ottenere precipitati proteici con composizione chimica simile a quelli ottenibili naturalmente. la stabilità proteica di un vino viene normalmente valutata mediante test predittivi D’altra parte la temperatura rappresenta il principale fattore responsabile dell’instabilità proteica dopo l’imbottigliamento. La misura della torbidità potrà poi essere effettuata mediante un nefelometro ed espressa in NTU (Nephelometric Turbidity Units). Un vino viene normalmente ritenuto stabile se la differenza dei valori di torbidità prima e dopo il trattamento a caldo è < 2 ( ). Le condizioni utilizzate per condurre il test a caldo variano notevolmente tra i vari laboratori. Alcuni ricercatori australiani dell’AWRI (Australian Wine Research Institute) hanno validato le seguenti condizioni: riscaldamento a 80°C per due ore, successivo raffreddamento a temperatura ambiente per 3 ore e quindi lettura nefelometrica (McRae et al. 2018). figura 1 - Valutazione della stabilità proteica mediante test a caldo Figura 1 LA BENTONITE, GIOIE E DOLORI La stabilizzazione proteica di un vino può essere ottenuta mediante la rimozione o l’idrolisi delle proteine, oppure utilizzando additivi che consentono di proteggerle da eventuali precipitazioni durante la conservazione. Ad oggi la sottrazione delle proteine mediante il trattamento dei vini con bentonite (OENO 11/2003, OIV-OENO 441-2011) rappresenta il metodo maggiormente utilizzato a livello mondiale per prevenire l’intorbidamento proteico. La bentonite è un minerale argilloso che consente di adsorbire le proteine presenti nel vino. La natura del principale catione scambiabile, presente nelle diverse tipologie di bentonite, ne influenzerà l’idratazione e quindi il potere deproteneizzante e la successiva velocità di decantazione. Il suo utilizzo, benché efficace, non è esente da inconvenienti. Foto di Steve Buissinne da Pixabay Tra questi, la perdita di vino che rimane “intrappolato” nel deposito feccioso, che sarà più o meno elevato in funzione del tipo di bentonite utilizzata. Se questo rappresenta indubbiamente un danno in termini economici, altrettanto oneroso è anche lo smaltimento dei depositi fecciosi, non sempre tra l’altro di facile gestione. Inoltre, la bentonite può comportare la rimozione sia diretta (adsorbimento degli aromi), che indiretta (adsorbimento dei complessi proteine-aromi), di importanti molecole aromatiche, come ad esempio gli esteri di fermentazione, responsabili in particolare degli aromi fruttati nei vini. Per limitare quest’ultimo inconveniente, la bentonite in alcuni casi può essere aggiunta, in modalità preventiva, prima o durante la fermentazione alcolica, consentendo in questo modo di ridurne anche le dosi. ENZIMI PROTEOLITICI E MANNOPROTEINE TRA LE PRATICHE AMMESSE Per tutte le problematiche sopra indicate, negli ultimi anni molti centri di ricerca stanno lavorando per trovare alternative all’utilizzo della bentonite. Tra i trattamenti recentemente ammessi, troviamo l’utilizzo di (OIV-OENO 541A- 2021) che consentono di idrolizzare le proteine. Generalmente, per aumentare l’efficacia degli enzimi proteolitici, il mosto deve però essere prima sottoposto a un trattamento termico e successivamente raffreddato per avviare la fermentazione alcolica (Marangon et al. 2012). Particolarmente interessanti come strumenti biotecnologici per la stabilizzazione dei vini sono i derivati di lievito. Tra questi, troviamo i lieviti inattivati (OIV-OENO 459-2013), quindi lieviti non più metabolicamente attivi, e le mannoproteine (OENO 26/2004; OIV-OENO 674-2022). Queste ultime sono macromolecole rilasciate dai lieviti durante la fermentazione o durante l’affinamento in seguito all’autolisi delle cellule. Nell’ottica di una produzione sempre più rispettosa della naturalità dei vini, le mannoproteine rappresentano sicuramente una valida alternativa alla bentonite. Poiché la quantità di mannoproteine rilasciate in fermentazione è troppo bassa per ottenere un’efficace stabilizzazione proteica, esse vengono estratte mediante mezzi chimico-fisici dalle pareti cellulari dei lieviti, cresciuti industrialmente ad hoc, e poi addizionate ai vini. Le mannoproteine ad oggi presenti nel mercato non sono tuttavia in grado di stabilizzare proteicamente i vini in modo efficace, mentre possono consentirne un miglioramento delle caratteristiche sensoriali. Va ricordato che le mannoproteine commerciali sono additivi, e come tali andranno indicati nella lista degli ingredienti con l’entrata in vigore della prossima nuova norma sull’etichettatura dei vini. I lieviti inattivati, invece, sono dei coadiuvanti, e non rientreranno nella lista degli ingredienti da riportare in etichetta. Tali derivati possono consentire non solo di rilasciare mannoproteine durante il contatto con il vino, ma anche di detossificare il vino da micotossine, come l’ocratossina. enzimi proteolitici LE MANNOPROTEINE DEI LIEVITI NON-SACCHAROMYCES, UNA RISORSA PROMETTENTE Ad oggi, le mannoproteine e i lieviti inattivati ammessi dall’OIV sono solo quelli ottenuti dai lieviti appartenenti al genere Saccharomyces. Tuttavia bisogna considerare che tali derivati potrebbero essere ottenuti anche da lieviti non-Saccharomyces, che d’altra parte sono già ammessi in vinificazione come starter di fermentazione. In tale contesto, il nostro gruppo di ricerca ha evidenziato per la prima volta che, rispetto ai lieviti Saccharomyces, gran parte dei lieviti non-Saccharomyces è in grado di rilasciare già durante la fermentazione alcolica un quantitativo più elevato di mannoproteine (Domizio et al. 2011, 2014, 2017; Romani et al. 2010). Inoltre, Anche altri derivati di lieviti non-Saccharomyces, attualmente oggetto di studio dello stesso gruppo di ricerca, stanno fornendo risultati interessanti, non solo per l’effetto positivo sulla stabilità proteica, ma anche per altri aspetti legati alla longevità dei vini. uno specifico lievito inattivato di non-Saccharomyces, un ceppo di Schizosaccharomyces japonicus, isolato nell’areale del Chianti, è stato recentemente oggetto di un brevetto, in quanto in grado di contribuire in maniera significativa alla stabilità proteica dei vini. PRODOTTI, TECNICHE INNOVATIVE E SPERIMENTAZIONI IN CORSO Di seguito e nella , sono riportati vari trattamenti alternativi alla bentonite per i quali si sta valutando e sperimentando l’efficacia nell’applicazione per la stabilizzazione proteica. Chitosano - Il chitosano è prodotto per deacetilazione in ambiente alcalino e a elevate temperature della chitina, principale componente dell’esoscheletro degli invertebrati e della parete cellulare dei funghi, crostacei e insetti. In vinificazione è ammesso solo il chitosano ottenuto dalla parete cellulare di Aspergillus niger e non da crostacei (OIV/OENO 368/2009; Oeno 336A-2009; Oeno 337A- 2009). Alcuni studi (Colangelo et al., 2018; Castro Marín et al., 2021) hanno dimostrato che il chitosano può interagire con le PR-proteins, in particolare con le chitinasi, consentendone la loro rimozione. Zeolite - Minerale della classe dei tettosilicati che, come la bentonite, presenta carica negativa al pH del vino consentendo la rimozione delle proteine per adsorbimento. Tuttavia, rispetto alla bentonite, per raggiungere lo stesso livello di stabilizzazione proteica, sono necessarie quantità maggiori di minerale. Gli studi effettuati, hanno comunque dimostrato che la zeolite non ha impatto negativo sulla componente aromatica del vino e non comporta significative perdite di prodotto. Inoltre, a differenza della bentonite, può essere riutilizzata come ammendante in agricoltura (Mierczynska-Vasilev et al.,2019). Biossido di zirconio - Noto anche come zirconia, è un materiale caratterizzato da basso potenziale di corrosione, durezza ed elevata resistenza termica e meccanica. Alcuni studi (Lucchetta et al., 2013; Salazar et al., 2006) hanno dimostrato che tale materiale è in grado di adsorbire le PR-proteins, con quantitativi e tempi di contatto che sono in funzione della composizione del vino. Dopo il suo utilizzo, la zirconia può essere rigenerata, anche se questo trattamento risulta difficilmente applicabile su scala industriale. figura 2 - Trattamenti alternativi alla bentonite (autorizzati dall’OIV o ancora in via sperimentale) per la stabilizzazione proteica dei vini Figura 2 La bibliografia è disponibile al Questo articolo segue l’approfondimento sulle proteine dei vini della stessa autrice “Le proteine dei mosti e dei vini, da dove vengono e come si comportano” pubblicato su Millevigne numero 3/2023. link Carragenina - Si tratta di polisaccaridi estratti dalle alghe rosse. A causa della loro carica negativa al pH del vino, interagiscono con le PR-proteins cariche positivamente, precipitandole. L’aggiunta di carragenina prima o durante la fermentazione consente di ottenere vini stabili, paragonabili ai vini chiarificati con bentonite, senza tuttavia avere impatto negativo sulle caratteristiche sensoriali. Se addizionata dopo la fermentazione la carragenina può tuttavia portare a problemi di filtrabilità del vino trattato (Marangon et al. 2013). Ultrasuoni ad alta potenza - Gli ultrasuoni possono determinare modifiche chimico-fisiche delle proteine degli alimenti. Alcuni studi (Celotti et al., 2021) hanno evidenziato che, in funzione della composizione del vino, gli ultrasuoni potrebbero consentire una parziale stabilizzazione proteica dei vini, permettendo quindi di ridurre il quantitativo di bentonite. Polvere di semi di vinaccioli - I tannini condensati dei vinaccioli rappresentano tra il 60% e il 70% del totale dei polifenoli estraibili dell’uva. L’utilizzo della polvere di vinaccioli è stata quindi suggerita da alcuni ricercatori (Romanini et al., 2021) per la stabilizzazione proteica dei vini, suggerendo comunque la polvere tostata per prevenire eventuali contaminazioni da parte di lieviti e batteri presenti in quella non tostata. L’aggiunta di dosi superiori a 15 g/L, necessarie per stabilizzare parzialmente vini con elevata instabilità proteica, ha tuttavia determinato importanti cambiamenti della composizione del vino trattato, aumentando il contenuto dei flavonoidi e alterando il colore del vino. La loro aggiunta prima della fermentazione sembrerebbe comunque non indurre a cambiamenti significativi nella composizione. Ultrafiltrazione - L’ultrafiltrazione del vino mediante membrane con diversi tagli molecolari è stata proposta con l’obiettivo di aumentare la stabilità del vino. Alcuni ricercatori (Hsu et al 1987), utilizzando membrane con tagli molecolare di 10-30 KDa, hanno ottenuto una rimozione del 99% delle proteine del vino. Tuttavia, i vini ottenuti presentavano una profonda alterazione delle caratteristiche chimiche, con una diminuzione non solo dei composti fenolici e aromatici, ma anche del mouthfeel, quest’ultimo verosimilmente dovuto a una rimozione dei polisaccaridi del vino. Per questo motivo, l’utilizzo dell’ultrafiltrazione in successivi studi (Sui et al., 2022), è stata proposta in associazione a trattamenti termici ed enzimatici. In particolare, dopo ultrafiltrazione, il solo retentato, quindi la frazione contenente le proteine concentrate, è stato sottoposto a trattamento termico e quindi enzimatico per ottimizzare l’idrolisi delle proteine. Successivamente, il retentato così trattato è stato ricombinato al permeato. Tale successione di operazioni ha consentito significative riduzioni delle proteine (30-96%), rispetto alla concentrazione prima del trattamento. Nanoparticelle magnetiche - Un’eliminazione selettiva delle PR-proteins può essere ottenuta mediante l’utilizzo di nanoparticelle magnetiche che presentano un rivestimento specifico in grado di interagire con le PR-proteins tramite un meccanismo di scambio cationico dovuto alla presenza di gruppi di acidi carbossilici presenti nella loro superficie. Le proteine si legano al rivestimento superficiale delle nanoparticelle e, dopo un tempo di contatto di circa 10 minuti nel vino instabile, possono essere eliminate utilizzando un magnete. Il trattamento non risulta modificare la composizione degli acidi organici e dei composti fenolici. I ricercatori che hanno sviluppato questo metodo, hanno inoltre dimostrato che si tratta di un materiale efficacemente rigenerabile (Mierczynska- Vasilev et al., 2017).