Enologia Vinificazione dei bianchi con IPEROSSIGENAZIONE di tony scott L a pressione di alcuni mercati verso la riduzione dell anidride solforosa , e i molti tentativi, più meno riusciti, di produrre vini bianchi totalmente senza aggiunta di SO2, ha risvegliato l interesse verso una pratica enologica che, dopo un periodo di notorietà negli anni ottanta, era stata un po messa da parte, almeno nelle sue forme più estreme : quella della cosiddetta (un po impropriamente come vedremo) iperossigenazione dei mosti. L idea che pompando ossigeno nel mosto si riduca il rischio di ossidare il prodotto parrebbe contraddittoria, ma non lo è. Si tratta infatti di far reagire anticipatamente l ossigeno con alcune sostanze ossidabili, in modo tale da formare molecole pesanti che precipitano, e rendere così il vino più stabile e meno soggetto a fenomeni ossidativi in bottiglia in quanto alcuni fattori di rischio sono stati allontanati preventivamente dal mezzo. In realtà le cose sono un po meno semplici di così, ma questo è il principio generale. Le prime esperienze di iperossidazione dei mosti furono effettuate in Germania da M ller e Sp th negli anni 70 del secolo scorso. Fino ad allora l enologia suggeriva di evitare l imbrunimento dei mosti, conseguenza normale delle reazioni all ossigeno del succo d uva come di altri frutti, e considerato dannoso per la qualità del vino. I ricercatori ottennero risultati che contraddicevano tale teoria, ottenendo vini più stabili e spesso anche migliori sotto il profilo organolettico. La tecnica si basa sul presupposto che l ossidazione del mosto e quella del vino hanno natura differente: nel mosto essa avviene per via enzimatica, veloce, nel vino per 18 via chimica, lenta.I mosti ossigenati sono molto scuri, di colore marrone, ma i vini che ne derivano sono più chiari e più stabili dei vini ottenuti dagli stessi mosti non ossigenati e protetti con anidride solforosa. Gli enzimi che provocano l imbrunimento dei mosti sono contenuti nell uva e sono principalmente la tirosinasi e la laccasi, la seconda legata alla presenza di Botrytis cinerea. La rimozione dei composti bruni I polifenoli del vino si possono classificare in flavonoidi e non flavonoidi. I non flavonoidi si concentrano nella polpa, nei vacuoli delle cellule, e sono presenti in tutti i succhi. I flavonoidi si concentrano nei tessuti più duri della buccia, dei semi e dei raspi. Nella normale vinificazione in bianco, che esclude le parti solide a partire dall ammostamento, la maggior parte dei polifenoli sono pertanto i primi, i non flavonoidi. Ma in realtà a noi interessano soprattutto i secondi: sono infatti i flavonoidi i principali responsabili dello sviluppo di sensazioni amare, astringenza, imbrunimento e alterazioni dell aroma durante l ossidazione dei vini in bottiglia. La ricchezza di queste molecole in un vino in bottiglia è deleteria perché esse hanno potenzialmente una reattività verso l ossigeno superiore all anidride solforosa, il che significa che in tali condizioni neppure la solforosa riesce a proteggere i vini dall ossidazione; a meno di usarne dosi largamente superiori ai massimi consentiti (Schneider, 1992). La ricchezza in flavonoidi dei mosti bianchi dipende dal contatto tra
Vinificazione dei bianchi con iperossigenazione, di Tony Scott