l Editoriale L assedio dei certificatori L a DOC, la DOCG, il biologico, il biodinamico, i sistemi di qualità: tutte scelte che un impresa decide di attuare oppure no, in base alla sua organizzazione, alle sue strategie produttive, alla valutazione dei rischi e dei benefici, al modo di affrontare mercato. Per chi sceglie il biologico o si muove nel vasto settore del naturale valgono anche motivazioni più personali e ideali: la salute propria e quella della famiglia, la visione della vita e del futuro. C è chi rinuncia volontariamente a comunicare ai consumatori queste scelte dimostrando così che il marketing, nel suo caso, non c entra niente. Vale per il bio ma vale anche per la DOC: ci sono piccoli produttori che fanno vini di territorio da vigneti propri, si muovono sostanzialmente all interno dei disciplinari, ma rinunciano ad utilizzare la denominazione, per vari motivi: i loro vini sono diversi rispetto al gusto corrente e rischiano la bocciatura ogni volta che vanno in commissione di assaggio (caso di molti vini senza solfiti); sono in guerra con il sistema , non tollerano vincoli di sorta; non credono nella serietà dei controlli; non vogliono pagarne i costi. Scelte rispettabili, che però solo un produttore carismatico o con un forte marchio è in grado di sostenere pagando poco dazio. Di quanti hanno tentato questa strada molti si sono scornati contro un muro che li ha respinti indietro, dimostrando che la DOC qualcosa conta ancora. Molti sostengono che la burocrazia è opprimente, sproporzionata ai risultati e dai costi eccessivi. Queste critiche sono almeno in parte giustificate: con le ultime modifiche legislative uno snellimento c è, e di certo si può migliorare ancora. Sta di fatto però che senza controlli un prodotto non può essere certificato per essere quello che dice di essere, e che i controlli costano: si può affinare il sistema finché si vuole ma da questi due paletti non si scappa. Per questo ho sempre avuto dubbi sulle de.co. (denominazioni comunali: chi controlla? Il cantoniere?) e qualche dubbio anche sull etichettatura a tappeto di tutti i prodotti trasformati con indicazione dell origine, come vorrebbero in molti tra cui Coldiretti e Slow Food e come indica un recente decreto approvato dalla Camera all unanimità. Temo infatti che si rischi un autogol, facendo passare alla fine tutto per made in Italy , sulla base di controlli risibili: infatti se sono controlli seri costano, e sui prodotti di primo prezzo i consumatori sono i primi a non starci: di GIAnLUIGI BIESTRO Presidente UNAVINI anche perché, gli studi di mercato lo dimostrano, chi va al discount con pochi soldi in tasca dell origine se ne fa un baffo. A tutela dell origine abbiamo DOP e IGP: valorizziamo questi marchi, facciamo conoscere meglio queste denominazioni, torniamo a pensare ad una IGP nazionale per alcuni prodotti, usiamo in modo più visibile i simboli grafici validi a livello europeo che li caratterizzano, così come quelli del biologico. A proposito di biologico, come dicevo, c è chi rinuncia alla certificazione; esiste poi il vasto mondo dei produttori di vini naturali che normalmente si attengono a regole ancora più stringenti di quelle del biologico ma non hanno né un protocollo chiaro di lavorazione né alcun tipo di riconoscimento ufficiale, e di solito nemmeno lo vogliono. In entrambi i casi c è chi parla, a mio avviso in modo errato, di autocertificazione . L autocertificazione è tale se comporta assunzione di responsabilità, come quando dichiaro le mie generalità ad un autorità, conscio che commetto un reato se dico il falso: se dico che sono biologico, o naturale , ma non mi succede nulla se ho sparato una balla, quella non è un autocertificazione: è una dichiarazione che vale al massimo in una relazione personale con un consumatore che si fida di me: ma non può avere alcun valore su nessun mercato, fosse pure un mercato contadino in piazza. Non inventiamo categorie inesistenti, aumentando la confusione: quella che c è basta e avanza. In effetti l offerta di marchi e certificazioni è molto elevata e spesso è difficile scegliere tra le molte opzioni disponibili: dalle certificazioni di processo della serie ISO (quasi d obbligo per la grande distribuzione) a quelle di prodotto (in cui rientrano DOP e DOC), dalle varie certificazioni sul rispetto ambientale a quelle sull etica di impresa (un obbligo in tal senso per i fornitori è allo studio dai monopoli scandinavi), fino al vasto mondo del naturale : biologico, marchio Demeter per il biodinamico, lotta integrata. Ogni certificazione comporta un diverso impegno nell organizzazione dell azienda, un po di carta e qualche spesa in più. Millevigne tornerà sull argomento in futuro con un approfondimento relativo a questa vasta di offerta di servizi. Per ora possiamo dire che si impone un attenta valutazione del rapporto costi/benefici, limitando la certificazione esterna agli obiettivi più consoni al modello di impresa e alle sue strategie di mercato, e rinunciando all idea di certificare tutto . 3