A cura di Michele Vigasio L’ANNATA, LA VITE E LA QUALITÀ DELLE UVE Un’annata difficilissima. Le posizioni migliori non bastano senza un meticoloso approccio agronomico di difesa e di rifinitura Appena chiuso questo 2024, qualcuno rievoca le vendemmie della fine degli anni ’80 o dei primi anni ‘90, altri azzardano ipotesi di similitudine con il più recente 2014 o, più in là, con il 2002. Lo diremo nel proseguo: con esse il bilancio pluviometrico finale in effetti sarà simile e straordinario. Ma probabilmente a rendere sostanzialmente diverse queste annate e conseguentemente il loro risultato viticolo, è stata la distribuzione delle piogge, più concentrata nella fase primaverile in questo 2024 e maggiormente in quella estiva nelle altre due ipotizzate simili. Quali o quante siano le vendemmie più simili a quella durissima appena conclusa, di certo è che in questa si sono dovute affrontare in successione una serie di difficoltà tecniche che l’hanno resa straordinariamente difficile e unica. Iniziata presto e finita tardi, con record nei quantitativi di piovosità accumulati, vediamo passo per passo cosa hanno dovuto affrontare i viticoltori piemontesi in campo a fianco delle loro viti. Certo nessuno si attendeva un cambio di direzione così netto di quello che sembrava un trend consolidato, almeno per quanto riguarda la riduzione della piovosità durante tutta la stagione vegetativa della vite. Eppure, si era partiti con la riconferma del trend caldissimo dell’inverno 2023-2024, che chiudeva il suo corso andandosi a posizionare al primo posto assoluto considerando i valori medi di temperatura dei tre mesi che definiscono l’inverno meteorologico, scalzando dal trono quello del 2019-20 e relegando al bronzo l’ancora precedente inverno. A quel momento, il fatto che tre inverni sugli ultimi cinque (e 10 degli ultimi 15 nella top ten) occupassero il podio delle temperature, risultava indiscutibile evidenza e conferma del cambiamento climatico più volte chiamato in causa. Quello che cambierà drasticamente, con un primo netto segnale a febbraio, sarà, appunto, il regime pluviometrico. In quel mese, infatti, cadranno tra i 150 e i 250 mm di pioggia a seconda delle diverse zone della regione. Quantitativi che porranno le basi da subito per lo stravolgimento del bilancio pluviometrico stagionale, cominciando a compensare quello ampiamente deficitario intercorso e prolungatosi da quasi due anni e mezzo nel comparto centro-meridionale della regione. Marzo darà conferma di questo nuovo asset con una piovosità compresa tra i 200 e i 400 mm: dalle 4 alle 6 volte (!) maggiore rispetto alla norma delle diverse zone. Nel frattempo però, tra i vitigni piemontesi, il Nebbiolo aveva sentito il decorso termico del febbraio incredibilmente caldo, più tipico del mese successivo, e aveva cominciato a ‘raddrizzare le antenne’ (o meglio le gemme) aprendo la stagione con un germogliamento che si annoterà (ma esclusivamente per questo vitigno) come il più L’ANNATA, LA VITE E LA QUALITÀ DELLE UVE Un’annata difficilissima. Le posizioni migliori non bastano senza un meticoloso approccio agronomico di difesa e di rifinitura A cura di Michele Vigasio 3 precoce di sempre. La testimonianza indiretta arriverà dall’osservazione delle piante di ciliegio coltivate che fiorivano con un esordio mai osservato prima, proprio nel primo giorno di primavera. Gli ultimi giorni del mese e tutta la prima decade di aprile decorreranno piovosi ma questo non impedirà di arrivare al 15 dello stesso mese con l’accumulo termico più alto mai registrato prima. Poca cosa o troppo presto (ma dopo, vedremo, si dirà: “per fortuna!”) per l’accelerazione della fase vegetativa di tutti gli altri vitigni piemontesi, ma non per le oospore di Plasmopara viticola (le forme svernanti del patogeno) che a quel momento probabilmente “aveva già capito” che sarebbe stata la sua annata. Appena dopo la metà di aprile ecco il primo allarme della stagione con la previsione, poi verificatasi, di avvezione di masse d’aria gelida dall’Est che lambiranno tutte le aree viticole regionali. Fortunatamente le temperature in quel passaggio sono scese generalmente solo di poche frazioni di grado sotto lo zero, per cui il bilancio finale complessivo dei danni da gelata sarà molto contenuto. Non sono però mancate situazioni molto localizzate di fondovalle interi e/o posizioni più basse di vigneti, anche non proprio mal posizionati, con danni dal 70% a quasi il 100%. Scampato questo pericolo si riparte a passo lento con le temperature che rimarranno decisamente sotto la media per i successivi due mesi e mezzo, fino alla fine di giugno. A quel momento il bilancio delle precipitazioni sarà all’incirca del doppio rispetto alla media del nuovo millennio nelle aree viticole dell’Alessandrino, Astigiano e Cuneese e fino a 3 volte tanto in quelle settentrionali. Tale surplus aumenterà ancora fino alla metà del mese di luglio. La fisiologia della vite in questo lungo periodo sarà tutta incentrata nell’assecondare il suo vigore che si concretizzerà, dopo la fioritura esordita nonostante tutto ancora con qualche giorno di anticipo rispetto alla data media, con un’esplosione vegetativa dei vigneti che metterà veramente in crisi la programmazione e l’esecuzione dei lavori di gestione in verde. Questa fase avverrà in concomitanza a interventi di difesa in particolare da Plasmopara viticola, quanto mai intensi e frequenti. L’esordio dei trattamenti di difesa, infatti, sulla base della presenza di tutti i fattori predisponenti per un avvio precoce e intenso dei cicli primari del patogeno, era stato consigliato già all’inizio dell’ultima decade di aprile e da allora questi avevano dovuto proseguire a intervalli molto brevi vista la frequenza (anch’essa da record?) orientativamente di un giorno di pioggia ogni 2,5. La fioritura si completerà davvero molto lentamente, e in essa si presenteranno già i primi segnali della complicazione sanitaria che si comincerà a mettere in conto da quel momento fino alla vendemmia, legata anche alla probabile diffusione della botrite e di altri marciumi.