CULTIVAR MINORI RECENTEMENTE AUTORIZZATE IN PIEMONTE: LE PIU’ PECULIARI A cura di Stefano Raimondi Completiamo qui l’esposizione sui vitigni minori recentemente autorizzati alla coltura in Piemonte, iniziata in occasione della presentazione della vendemmia 2022 e proseguita nella stessa occasione nel 2023. Quest’anno saranno oggetto di approfondimento ulteriori sei vitigni, quelli che hanno avuto uno sviluppo più contenuto e le cui superfici sono rimaste molto limitate. Dei sei vitigni qui trattati, cinque sono stati autorizzati alla coltura in modo definitivo nell’arco del periodo 2003-2015 e uno, la Passeretta, è stato posto in osservazione in Piemonte lo scorso marzo 2024. Queste sei varietà, con la sola eccezione dell’Uvalino di cui si specificherà al paragrafo dedicato, sono state studiate e proposte per l’autorizzazione dal gruppo di lavoro formato da ricercatori del CNR-IPSP (in primis Anna Schneider) per la parte strettamente ampelografica e dell’Università di Torino (Vincenzo Gerbi e Luca Rolle per citare i più coinvolti) per gli aspetti compositivi delle uve ed enologici. Veniamo dunque a esporre qualche nota storica, sull’origine genetica e sulle caratteristiche agronomiche, produttive ed enologiche di questi sei vitigni. Becuét Il Becuét, tipico dell’Alto Pinerolese e della valle di Susa, compare nelle ampelografie italiane sul finire dell’Ottocento. Già i primi autori dichiarano, correttamente, che esso corrisponde al francese Persan, tipico dell’Isère e della Savoia. È probabile che l’origine di questa varietà ‘transfrontaliera’ sia effettivamente da collocarsi in Francia, dal momento che essa è risultata essere discendente dal Savagnin, vitigno tra i maggiori capostipiti dei vitigni d’oltralpe e mai ritrovato (né, per quanto sappiamo, segnalato) in Piemonte. Questo Savagnin non è poi che la forma a bacca bianca e non aromatica del Gewurztraminer. Su entrambi i versanti delle Alpi occidentali le uve del Becuèt erano utilizzate in taglio, apportando corpo, colore e acidità alla miscela. Anche tuttora questa pratica è in uso (ad esempio nel Pinerolese Ramìe o nel Valsusa rosso), ma le uve Becuèt possono anche essere impiegate in purezza per vini di ottima struttura e spiccata acidità, longevi e dall’aroma complesso, con note fruttate e speziate. Dopo l’iscrizione al Registro nazionale italiano, nel 2003, gli ettari attuali impiantati con Becuèt (in Italia) sono meno di quattro, mentre in Francia se ne contano circa una ventina. Bragàt rosa Questo vitigno è stato iscritto al Registro nazionale e autorizzato alla coltura in Piemonte solamente nel 2014, giungendo a sanare una situazione ‘irregolare’ che si protraeva da decenni: la Regione Piemonte, infatti, già nel giugno 1996 definì nella sua legislazione che solo il Brachetto tipico di Acqui poteva utilizzare questo nome, mentre gli altri (il Bragàt del Roero, ma anche il cosiddetto Brachetto Migliardi o di Montabone) non si sarebbero più potuti propagare né impiantare (ma erano coltivabili negli impianti precedenti quella data) e i vini da loro derivati non avrebbero più potuto essere commercializzati con la denominazione ‘Brachetto’. Per ovviare a quest’ultima norma fu creato il nome commerciale Birbèt usato talora per indicare i vini prodotti con il Bragàt rosa. Dopo l’autorizzazione, nel 2014, tutti questi problemi furono superati, ma la superficie del Bragàt rosa è rimasta comunque limitata a un solo ettaro complessivo. Il termine ‘Bragàt’ è ovviamente una trascrizione del termine dialettale roerino per Brachetto, mentre l’indicazione del colore ‘rosa’ è a dire il vero un po’ esagerata, perché le sue uve dovrebbero essere indicate più correttamente come rosso-violette. Dal momento che sono molti i ‘Brachetti’ in Piemonte, non è facile individuare le prime citazioni di questo vitigno. Probabilmente, per ovvi motivi geografici, vanno attribuite al Bragàt le citazioni di Brachetto coltivato a Castellinaldo e Santa Vittoria d’Alba nel Bollettino ampelografico del 1879. Recenti ricerche hanno individuato un genitore del nostro vitigno, il cosiddetto Moscato bianco precoce, a sua volta originato dall’incrocio del Dolcetto bianco (ormai rarissima cultivar dell’Appennino ligure-piemontese) e del Moscato bianco. I vini di Bragàt rosa, secchi o più frequentemente con residuo zuccherino e spesso spumanti, sono caratterizzati da un gradevolissimo aroma con note di rosa, pesca e agrumi, sostenuto da una base terpenica di geraniolo, nerolo e linalolo, presenti soprattutto in forma glicosilata, e con sufficiente acidità. Il colore è tenue, ma vivace, molto gradevole.