I VINI PIEMONTESI NEL NUOVO SCENARIO DI MERCATO di Denis Pantini Responsabile Nomisma Wine Monitor La filiera vitivinicola italiana sta attraversando un momento dai risvolti complessi. Negli ultimi quattro anni le imprese del settore ne hanno viste di tutti i colori, sia per quanto riguarda il mercato che per gli aspetti produttivi: dal Covid con i vari lockdown che hanno impattato sulla distribuzione, al post-pandemia che ha generato acquisti euforici in tutto il mondo oltre il normale livello degli anni precedenti; dal ritorno dell’inflazione “anni ‘80” alla crisi dei consumi che da congiunturale sembra ormai diventata strutturale. Il tutto passando sotto le forche caudine di un cambiamento climatico che nel 2023 ha portato a una vendemmia ai minimi storici, appena 38 milioni di ettolitri contro i quasi 50 di media degli anni precedenti. È innegabile che lo scenario di mercato sia diventato molto più complicato rispetto al passato e probabilmente sono stati proprio questi “alti e bassi” a farcelo capire. È altrettanto vero però che molti cambiamenti che oggi vengono bollati come “nuovi” in realtà vantano origini di lungo corso: mi riferisco, in particolare, al calo nei consumi di vino rosso e al fatto che, a detta di molti, i giovani non bevono più vino. Guardando però il bicchiere mezzo pieno, si scorgono anche opportunità, collegate in particolare a una maggiore attenzione a questa bevanda in mercati “emergenti”, in particolare nei paesi del Sud-Est asiatico o dell’Europa dell’Est. Certo, per poterle cogliere queste opportunità, occorre investire in competenze, promozione e comunicazione, ma se c’è una cosa che dovremmo aver capito nel corso di questi ultimi quattro anni è proprio che “il vino non si vende più da solo”, come invece molti produttori pensano ancora sia possibile. Nell’ambito di questo articolo, dopo aver delineato i contorni dello scenario di mercato e i principali tratti evolutivi, focalizzeremo l’attenzione sui vini piemontesi e sugli impatti che i cambiamenti sopra descritti hanno generato sulle relative , andando poi a scoprire quali opportunità di crescita possono riservare i nuovi mercati di consumo del vino. performances LO SCENARIO INTERNAZIONALE Tra il 2019 e il 2022, l’import mondiale di vino è passato da 32,9 a 39,2 miliardi di euro, registrando una crescita del 19%. L’anno successivo, invece, tale valore è sceso a 37,1 miliardi di euro, il 5% in meno. Non c’è dubbio che il post-Covid e l’inflazione abbiano trainato verso l’alto le vendite a valore, ma è anche vero che quel trend di “premiumisation” dei consumi che durava da anni si è mantenuto, riscontrabile anche nella diversa composizione degli scambi commerciali per categoria. Basti infatti pensare che, nell’ultimo decennio, l’export mondiale di spumanti è cresciuto (sempre a valore) del 98% e quello dei vini fermi imbottigliati del 29%, mentre sono rimasti “al palo” i vini sfusi. Purtroppo, il trend di calo che ha interessato il 2023 è continuato nel 2024 e i dati fino a oggi disponibili lasciano presagire una chiusura d’anno non particolarmente brillante. Prendendo a riferimento le importazioni di vino nei 12 principali mercati internazionali – rappresentativi di oltre il 60% degli acquisti mondiali di vino in valore – per il periodo gennaio-agosto 2024 si evince un calo aggregato del 4% (rispetto agli 8 mesi dell’anno precedente). Tra i pochi paesi in grado di mostrare variazioni positive negli acquisti si segnalano il Brasile (+12%) e la Cina (+27%), dove però il rimbalzo è stato sostanzialmente generato dal ritorno sul mercato dei vini australiani, dopo l’eliminazione dei «super dazi» introdotti nel 2021 dal governo di Pechino . Per quanto riguarda l’andamento complessivo delle singole categorie, le importazioni di vini fermi e frizzanti imbottigliati rappresentano una fotocopia della situazione precedente (sempre a livello dei 12 mercati): in questo caso la riduzione a valori è inferiore (-2%) e oltre a Brasile e Cina, altri due mercati mostrano una variazione positiva, vale a dire Canada e Australia (+2% entrambi). La categoria che invece soffre maggiormente, a livello generale, è quella degli sparkling. In questo caso, il calo nel valore degli acquisti cumulati è superiore al 10%. Attenzione, però. Questa riduzione è determinata principalmente dal crollo dello Champagne (-19% l’export mondiale a valore della DOP francese nello stesso periodo di tempo, con picchi negativi fino a -39% in Germania e -30% in Giappone). La puntualizzazione è d’obbligo perché se confrontiamo tali trend con gli acquisti di spumante dall’Italia (alias di Prosecco) la situazione cambia radicalmente. Basti infatti pensare che a fronte di quel -10% segnalato per gli acquisti complessivi di sparkling, quelli dall’Italia evidenziano un +2%. Un risultato in controtendenza derivante da aumenti in molti dei 12 mercati presi in considerazione, quali Francia (+9%), Australia (+7%), Canada (+5%), Stati Uniti (+4%) e UK (+3%). Alla luce di questi dati, si comprende chiaramente come siano i vini francesi a subire maggiormente gli impatti di questa flessione nella domanda di vino a livello globale: -7% il valore nell’export francese nei primi 8 mesi di quest’anno, trainato al ribasso dallo Champagne che, nello stesso periodo di tempo, ha perso quasi 20 milioni di bottiglie rispetto all’export cumulato di gennaio-agosto dell’anno scorso. Tra gli altri top exporter sembra andare controcorrente l’Australia, ma si tratta di un risultato falsato dalla Cina. Il +26% registrato dall’export di vino dalla “terra dei canguri” è interamente sostenuto dalla “benevolenza” di Xi Jinping che, dopo aver bandito i vini australiani dal proprio paese per oltre due anni, ha deciso da marzo di quest’anno di togliere quel dazio del 218% che li metteva fuori mercato. Al netto, infatti, dei 22,3 milioni di bottiglie (contro le 166 mila dell’anno prima) vendute nella Repubblica Popolare fino ad agosto, la variazione totale delle esportazioni mondiali australiane risulterebbe negativa del 10% (a valore). E per la prima volta dopo tanti anni, pure la Nuova Zelanda scivola in territorio negativo: il suo Sauvignon Blanc questa volta non riesce a sostenere l’export di un’intera nazione, tradito dai consumatori dei due principali mercati di consumo, Stati Uniti e UK. E in questo contesto globale, l’Italia che fa? Cresce, senza troppi clamori, trainata sostanzialmente (e ancora una volta) dalle proprie bollicine (+7%) e da un rimbalzo dei vini fermi imbottigliati (+3,5%). (figura 6.1)