ENOLOGIA Il mosto che corre di DAVIDE CAMONI L’evoluzione della pressatura, dalla storia alla scienza C’è un momento, nella vinificazione, in cui esiste un prima e un dopo. Un momento in cui tutto ciò che è stato concepito nella vigna madre viene accolto e detenuto in maniera decisiva: la qualità del vino che sarà. Questo momento è la pressatura. Un po’ come se la vigna trattenesse il respiro e durante la pressatura compisse idealmente il miracolo del parto. Dopo un’attesa lunga mesi, una trasformazione rapida al culmine di un piccolo sforzo che dà alla luce qualcosa di miracoloso, di cui l’enologo è ostetrico paziente vigile e guida questa trasformazione conferendo identità al “vino che sarà”. Così come lo scultore, che, dinanzi a un blocco di marmo, sa che all’interno di esso è già estro (opera compiuta) sta all’artista e al suo scalpello a farla emergere. Nel mosto è un po’ così. L’enologo osserva attentamente e mette in moto l’intelligenza predittiva settimane prima della vendemmia: assaggia, mastica, testa le potenzialità dell’uva, ipotizza, rivede strategie, definisce potenzialità, definisce spazi e contenitori vinari, per poi dover arrivare a due, al dunque, al momento decisivo e stabilire dei programmi di pressatura coerenti con il progetto che ha in testa e in funzione della materia prima. Di fronte a tutto questo meraviglioso lavoro di progettazione, spesso invisibile ai più, è fondamentale tentare di capire quali e quante variabili tecniche sono da considerare in questo passaggio solido/liquido che è stato, storicamente, la letteratura di riferimento. PER GLI ANTICHI L’UVA CHE SI TRASFORMA IN MOSTO E IL MOSTO CHE SI TRASFORMA IN VINO A fronte dei moltissimi articoli scientifici prodotti in enologia nell’ultimo secolo, veramente pochi sono quelli significativi sui diversi aspetti della pressatura; si possono contare, nel Novecento, sulle dita di una mano. Sono invece ricche le fonti bibliografiche antiche nelle quali si sono agganciati alcuni principi che ancora oggi sono validi. Di pressatura ne parlarono i Greci, i Romani (Catone, Plinio, Virgilio, Columella), ma per addirittura la Bibbia nella Genesi e nel celeberrimo , i Bizantini, i Cinesi, i Cartaginesi, addirittura Sumeri, Babilonesi ed Egizi vi fanno riferimento, anche se questi erano concentrati più sulla produzione della birra. Un amico, Michele Gnecchi, ingegnere con cuore e impiantista da cantina per professione, si è fatto affascinare molto dai testi storici e da una ricerca iniziale, ha esteso e stilato la questione, che si è concretizzata con un dottorato di scienza vitivinicola e diversi articoli all’attivo. Tra i primi, anche Michele Gnecchi, ingegnere, amico, ha raccontato nel II secolo a.C. il concetto di mosto fiore, di pressatura, di qualità dei mosti e dei futuri vini in funzione della velocità di fuoriuscita: appunto, il mosto che corre. cantico dei cantici “the running must” Figura 1. Esempio di layout delle presse pubbliche bizantine modificato da Dray, Yehoshua (2015) LA SCIENZA MODERNA: LA RISCOPERTA DEL POTENZIALE DEI MOSTI Perché nel ventesimo secolo si sono spese meno energie nel lasciare emergere le potenzialità già presenti nel mosto a favore dell’enologia additiva? Domanda molto delicata in cui la complessità delle risposte necessita di comprendere i differenti ruoli che ha ricoperto il vino come alimento e come bevanda nell’arco temporale e quanto l’influenza dell’industria enologica abbia reso più semplice curare che costruire, rielaborando il mosto di cui ne celebre pubblicità. Oggi però vi è un ritorno all’osservazione delle potenzialità dell’acino, all’indagine enologica, allo studio dell’impatto della pressatura in funzione delle varietà, dello stile di vino da ottenere, delle tecnologie impiegate e dei valori che un’azienda vuole trasmettere. In questa miscela grezza, il mosto, avvengono reazioni acido-base, salificazioni, imbrunimenti ossido-riduttivi, il tutto catalizzato dagli enzimi, finalmente liberi dai loro compartimenti cellulari e in grado perciò di esprimere il loro potenziale catalitico. Non sempre, con i sistemi tradizionali, questi fenomeni possono essere gestibili per questioni di tempo o di volume. L’uso appropriato delle presse richiede una conoscenza approfondita dei parametri chimico-fisici e una chiara idea dello stile di vino desiderato. Tuttavia, il tipo e la scelta della pressa hanno un impatto diretto sulla composizione chimica del vino. Le case produttrici di presse hanno messo in atto strategie che permettono di ottenere notevoli miglioramenti, ad esempio lo sgrondo rapido, o sistemi che possano evitare il ristagno del liquido a contatto con le porzioni solide difficilmente estraibili quali la buccia, o ancora soluzioni di pressatura sempre meno invasive che possono selezionare o frazionare le differenti componenti distribuite in maniera non uniforme nella sezione dell’acino, sistemi di inertizzazione che ne mitigano il contributo dell’ossigeno, sistemi di raffreddamento e, ultimamente di selezione attiva, oltre a sistemi di carico e scarico progressivamente sempre più efficienti. Le tecnologie più moderne di pressatura hanno portato a doppie membrane con sgrondi verticali e continui, grazie alla presenza di setti drenanti che, aumentando la superficie, permettono alla pressione di diminuire e contemporaneamente alla resa dello sgrondo fiore di aumentare proporzionalmente.