ECONOMIA Il caporalato è l’elefante nel vigneto di GABRIELA TIRINO Lo sfruttamento dei lavoratori agricoli è una realtà che coinvolge tristemente anche il settore vitivinicolo e che richiede consapevolezza da parte dei produttori L’elefante del caporalato nelle vigne italiane è impossibile ormai da ignorare e invoca una presa di posizione decisa e corale da parte dei produttori del settore. Per approfondire questo tema è indispensabile innanzitutto osservarlo da una prospettiva d’insieme che riguarda l’agricoltura in generale, la sua storica tendenza allo sfruttamento del lavoro stagionale nelle campagne e il contesto complessivo europeo. UN FENOMENO CHE RIGUARDA IL SETTORE AGRICOLO IN TUTTA EUROPA Nel 2012 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico aveva evidenziato come l’agricoltura fosse, in tutta Europa, il primo settore a essere colpito da gravi forme di sfruttamento di lavoratori migranti UE ed extra UE. Da allora la disponibilità di forza lavoro nativa è andata ulteriormente diminuendo, mentre, di contro, è aumentata la dipendenza del comparto dalla forza lavoro straniera, soprattutto stagionale. Durante il periodo del Covid-19 è emerso duramente come alla base del funzionamento dei sistemi alimentari globali ci fosse l’impiego di questi lavoratori precari e alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, hanno messo in pratica misure per favorire la mobilità di queste persone nonostante la crisi sanitaria, al fine di scongiurare blocchi produttivi nelle filiere agroalimentari. In quelle circostanze sono emersi interrogativi decisivi sulla relazione tra agricoltura e sostenibilità sociale ed economica. Proprio nel giugno del 2020 il Parlamento europeo ha invitato gli Stati membri a garantire la corretta attuazione delle normativa UE in merito, ha adottato una risoluzione specifica per la protezione dei lavoratori stagionali e ha emanato nuove linee guida e le buone norme per placare lo sfruttamento e combattere le pratiche abusive. IN ITALIA UNA LUNGA STORIA DI CAPORALATO IN AGRICOLTURA La storia ci insegna che la figura dei braccianti avventizi ha sostenuto lo sviluppo dell’agricoltura italiana a partire dal periodo a cavallo tra Ottocento e prima metà del Novecento, quando la diffusione delle coltivazioni intensive ha stimolato la migrazione interna e stagionale di lavoratori provenienti dalle zone più povere del nostro paese. Oggi i braccianti stagionali sono stranieri e lo status stesso di migrante aggrava la vulnerabilità di questi lavoratori, provenienti da paesi terzi o da aree UE. Tale vulnerabilità ruota innanzitutto sul permesso di soggiorno, il cui rilascio o prolungamento, secondo la normativa italiana, è strettamente legato al possesso di un contratto di lavoro. Su questa base i lavoratori stranieri sono facilmente ricattabili e ciò spiega il fenomeno del “lavoro grigio”, caratterizzato da regolarità formale solo a fronte di molte ore e giornate di lavoro pagate “in nero” o non pagate affatto. Inoltre il DL 10 ottobre 2023 (Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale di lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare), nei fatti, favorisce indirettamente la creazione di un abuso sistematico della manodopera straniera: per far fronte alle richieste del settore agricolo si ammette, infatti, in ulteriore quote previste, l’ingresso in Italia, in presenza di un contratto di lavoro subordinato e anche stagionale. Nella realtà invece, i rapporti di lavoro in agricoltura si basano su contratti da sfruttamento e non si costruiscono preventivamente a distanza. Dunque le organizzazioni criminali trovano maglie larghe per insinuarsi nei processi di reclutamento, perpetuando lo sfruttamento. Il risultato, come evidenzia l’ultimo Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, sono i circa 200 mila lavoratori irregolari, che contribuiscono alla sopravvivenza e al successo di un comparto produttivo che vale oltre 73 miliardi. In questo quadro va chiarito e contestualizzato cos’è il caporalato attuale, che si è evoluto in relazione alla moderna agricoltura capitalistica e a dinamiche di filiera dominate dal potere della grande distribuzione organizzata. Esso oggi assume una funzione più articolata di intermediazione, incarnata da cooperative poco trasparenti o addirittura fittizie, che rispondono al bisogno di semplificazione del rapporto di lavoro e di riduzione dei relativi costi. Il caporale nella maggioranza dei casi condivide con i propri lavoratori la provenienza e la lingua, e rappresenta per essi l’unico punto di riferimento per il soggiorno e all’ingresso in Italia e alla fornitura di alloggio, spesso in condizioni abitative disumane.