Così come il prezzo e il prestigio del vino aumentavano mano mano che ci si allontanava dalle zone di produzione e dagli snodi commerciali, assaporare il nettare di vini non provenienti esclusivamente dalla produzione locale e regionale era senz'altro un lusso: quello di poter scegliere a più vasto raggio, di bere vini "esotici"». 90 91 Interessanti a tal proposito le considerazioni di Pini, , cit., p. 589-590: «Il vino "orientale", che sarà poi genericamente definito "vino di Romanìa" perché proveniente dai territori dell'Impero romano d'Oriente, cioè dall'Impero bizantino, poteva viaggiare a costi non proibitivi solo per via d'acqua, ma anche qui con navi dallo stivaggio ancora molto limitato. Giunto ai porti dei grandi empori commerciali del tempo (Genova, Pisa, Venezia), risaliva, se possibile, i fiumi su chiatte a fondo basso per poi essere trasferito su carri trainati da buoi o in piccole botticelle caricate a soma sui muli. Tra spese di trasporto e vari tipi di dazi il prezzo di questi vini "di Romanìa" (tra cui più tardi si distinguerà il vino di Creta e il vino libanese di Tiro, il cui commercio verrà in gran parte monopolizzato dai Veneziani) saliva alle stelle. Si è potuto calcolare che una partita di vino partita da un porto del Levante raddoppiava il suo prezzo per giungere per via mare a Venezia, poi ancora lo raddoppiava se trasportato per via fluviale a Bologna (ca. 150 Km), poi nuovamente raddoppiava se condotto su carri per via di terra a Reggio Emilia o a Faenza (ca. 60 Km). Non deve allora stupire il fatto che gli statuti di molte città vietassero l'importazione di vini prodotti al di fuori dei loro distretti, facendo però quasi sempre eccezione per pochi vini di lusso destinati in teoria ai malati ( ), ma in realtà destinati alla tavola dei componenti di quelle classi aristocratiche, o comunque dirigenti, che detenevano il potere politico nelle città e cercavano adeguate forme per gratificarsi e per esternare il loro prestigio così nell'abbigliamento come nell'alimentazione, e dettavano ovviamente anche le regole statutarie dei rispettivi comuni. Se il vino che dà prestigio, il vino di lusso, il vino del ricco deve essere per forza di cose un vino costoso, anzi il più costoso di tutti, i vini "navigati" provenienti dal Levante rispondevano sicuramente a questa peculiarità. Ma a sua volta il consumo alimentare dettato inizialmente e in gran parte dalla volontà, ma anche dalla necessità, di esternare il proprio prestigio, il proprio potere, la propria ricchezza, finì col creare, come spesso accade, un nuovo gusto, una nuova moda. I vini che venivano dal Levante erano vini forti, dall'alta gradazione alcolica, gli unici peraltro adatti al trasporto e all'invecchiamento. Il gusto orientale, che si era andato consolidando nel corso dei secoli, li preferiva bianchi, dolciastri e liquorosi, non di rado arricchiti con spezie ed essenze profumate, e fu appunto questo il gusto che conquistò anche l'Italia e l'Occidente per oltre tre secoli, dal Duecento al Quattrocento». 90. Campagne bolognesi pro egritudine Grappe, , cit. pp. 131-136. 91. Sulle tracce del gusto 6. Lessicografia vitivinicola medievale Bruno Andreolli compie un viaggio all'interno della lessicografia medievale, analizzando i tre lessici medievali più importanti: , compilato nel secolo XI, le di Uguccione da Pisa e il di Giovanni Balbi: «La riflessione giuridica delle origini si svolse certamente in un ambiente dominato da una cultura al tempo stesso d'estrazione teologica e di formazione retorica. 92 Papias vocabulista 93 Magnae derivationes 94 Chatolicon 95 B. Andreolli, , in J.-L. Gaulin, A.J. Greco (a cura di), , Clueb, Bologna 1994, pp. 15-37. 92. La terminologia vitivinicola nei lessici medievali italiani Dalla vite al vino. Fonti e problemi della vitivinicoltura italiana medievale «Già alla fine del Quattrocento in varie città italiane s'iniziò ad avvertire l'esigenza di definire e codificare il volgare in raccolte che avessero pari autorità rispetto ai repertori latini e a quelli latino-volgari. I primi esperimenti di compilazioni monolingui furono fatti in Toscana, la regione nella quale il volgare aveva raggiunto risultati d'altissimo livello nella poesia e nella prosa. Il primo esempio è il del poeta e umanista Luigi Pulci, consistente in una lista alfabetica d'oltre settecento vocaboli, seguiti da una breve definizione. Si tratta, probabilmente, di un dizionarietto concepito per uso personale, con una funzione solo autodidattica, confermata dalla presenza di molte delle voci raccolte poi nel ». Da . 93. Vocabulista Morgante http://it.wikipedia.org/wiki/ «Uguccióne (lat. Huguccio o Hugo) da Pisa. – Canonista e lessicografo (n. Pisa forse intorno al 1130 – m. Ferrara 1210). Scolaro a Bologna già prima del 1156, vi fu professore di diritto canonico dal 1178 al più tardi fino al 1190, quando fu nominato vescovo di Ferrara. Da vescovo esercitò importanti incarichi religiosi e anche politici. Rielaborò e accrebbe il lessico di Papia in un'analoga compilazione: le famose , di grande autorità e diffusione per più secoli, che furono il lessico di Dante. Come canonista, U. lasciò una al di Graziano (compiuta verso il 1188-90), con la lacuna delle XXIII-XXVI riempita poi da Giovanni di Dio (1250): per vastità e profondità di pensiero, il maggiore commentario di Graziano». Da . 94. Derivationes Summa Decretum causae http://www.treccani.it/enciclopedia/uguccione-da-pisa/ «Giovanni Balbi da Genova. Lessicografo (m. 1298 circa), domenicano; scrisse le e un trattato teologico in forma di dialogo, il . Sua opera maggiore è il (1286), vasto lessico latino con ampie digressioni grammaticali, etimologiche e sintattiche, molto usato nei secc. 14º-15º; un'edizione di esso (1460) si crede stampata da Gutenberg». Da . 95. Postillae super evangelia Dialogus super quaestionibus animae ad spiritum Catholicum http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-balbi-da-genova/