7. Agricoltura e viticoltura dall'età comunale al Rinascimento La grande proprietà fondiaria costituisce, sino al secolo XII, il fondamento stesso dell'esercizio dei poteri giudiziari, militari e fiscali; in una parola, del potere politico, nel contado, e quindi la base di un complesso sistema di relazioni e di dipendenze personali. «Ma fu proprio la natura essenzialmente politica del dominio dei grandi possidenti a consentire spazio alla formazione di una vasta categoria di coltivatori diretti e di medi proprietari: per tale via si andarono consolidando, all'interno del regime signorile, quelle forze antagonistiche che avrebbero contribuito in misura decisiva alla sua disgregazione. Una contestazione radicale del sistema signorile venne mossa dai Comuni cittadini a partire dalla fine del secolo XII. L'affermazione delle città medievali è stata a lungo concepita dagli storici come espressione di un prevalere delle attività artigianali, industriali, finanziarie e soprattutto commerciali sull'economia agricola e sui proprietari fondiari. In realtà la funzione delle città italiane dei secoli XI-XIV fu quella di costituire un terreno d'incontro e di fusione tra i ceti legati alla proprietà fondiaria, spesso provenienti dal contado e inurbatisi nei secoli XI-XIII, e le diverse categorie di mercanti e di artefici. Sia gli uni che gli altri vincolarono le proprie fortune all'affermazione dell'organismo politico cittadino – il Comune – e alla costituzione di piccoli stati territoriali. Sotto l'impulso delle forze economiche e sociali che si esprimevano nel ceto dominante cittadino, venne riaffermato nella pratica il principio, della separazione tra possesso fondiario ed esercizio dei poteri giurisdizionali. Nelle campagne, come abbiamo veduto, si era determinata una connessione costante tra l'uno e l'altro, per cui i maggiori possidenti si trovavano ad essere investiti di una somma di prerogative di natura pubblica. Nelle città si era invece mantenuta sempre, senza soluzione di continuità, una distinzione netta tra la proprietà privata dei beni immobili e i poteri inerenti al controllo dei beni demaniali e all'organizzazione giudiziaria, militare e fiscale. Esercitati in un periodo più antico da funzionari imperiali ma soprattutto dalle autorità vescovili, i poteri pubblici nella città vennero assunti tra XI e XII secolo dal nuovo organismo comunale. Sin dalla prima metà del secolo XII i Comuni cittadini cominciarono ad affermare la propria autorità nel territorio circostante; il primo strumento di tale affermazione fu costituito quasi dovunque da un complesso di patti giurati di alleanza o di parziale sottomissione, stretti con le maggiori consorterie nobiliari del contado. Negli anni centrali del secolo XII Federico Barbarossa promosse un'azione politica di grande respiro, intesa ad affermare la derivazione dall'autorità imperiale di ogni potere e di ogni diritto di natura pubblica. Egli contestò la connessione tra possesso fondiario e giurisdizione, quale si era consolidata nelle campagne, ma soprattutto si scontrò con quei Comuni cittadini che avevano assunto, per via di fatto e senza alcuna delega imperiale, determinate prerogative giurisdizionali. Le rivendicazioni imperiali non ebbero alcun successo duraturo, anche perché – per una serie complessa di cause storiche e di circostanze, sulle quali non possiamo soffermarci in questa sede – vennero completamente meno al Barbarossa sia le forze politiche e militari, indispensabili alla repressione delle autonomie cittadine, sia la solidarietà dell'episcopato italiano e più in generale dell'elemento ecclesiastico, che costituiva una struttura portante del governo, dell'amministrazione e della politica imperiale. Con la pace di Costanza (1183), dove pure era riservata al Barbarossa e ai suoi successori una serie importante di prerogative, fu data una sanzione legittima alle forme di governo e di sovranità politica che i Comuni dell'Italia settentrionale avevano instaurato entro le mura urbane e nel contado.