Le vigne qualche volta sono impiantate come pergolati, detti , quando si tratta di allestire viti di particolare pregio da consumare fresche o appassite, oppure negli orti o nei frutteti; ma più spesso sono piantate a filari, detti o , come testimoniato dal di Santa Maria di Bonarcado: « », separati da uno spazio detto , , . I filari sono composti da un determinato numero di ceppi, per cui è facile valutarne subito l'entità, una volta calcolato il numero dei filari, è impossibile valutare l'entità delle vigne annotate nei documenti perché non si sanno da quanti ceppi sia tradizionalmente composto un filare; i singoli piedi dei filari sono sorretti da canne, prodotte nei canneti, spesso appositamente piantati. Le viti non sono tenute basse a cespuglio, ma vengono fatte arrampicare su appositi sostegni: infatti nel capitolo 145 del Codice rurale si proibisce di asportare dalle vigne « », dove significa in latino palo fatto di legno di quercia o di castagno, che rappresentava il miglior tipo di sostegno fra quelli citati da Varrone. catriclas ordines jualis condaghe yo le di VIII ordines o jualis de vinia plazza prazza platea rayglas segadas nen sanas rayglas Frequentemente le viti si fanno arrampicare sugli alberi, come ricordato dal di Santa Maria di Bonarcado: « », cioè un pioppeto con viti e spesso, nello stesso documento, si parla anche di frutteti con viti: « », secondo la tecnica dell' , cioè della vite sposata agli alberi, assai diffusa sia in età romana che medievale, che consisteva nel fare attorcigliare la vite sugli alberi da frutto, soprattutto sui fichi. Da quanto è dato sapere da importanti ricerche storiografiche sulla vitivinicoltura sarda, bisogna aspettare il 1800 per avere un'inversione sostanziale delle forme e delle modalità di allevamento, e degli assetti giuridici e proprietari che il Codice rurale diversi secoli prima aveva organizzato, per quei tempi efficacemente, all'interno dell'isola. condaghe publiana cum bide binias et pumu arbustum 54 Cfr. B. Fois, , pp. 179-191; A. Mattone, , pp. 275-344; G.G. Ortu, , pp. 345-363, tutti in , cit. 54. Tempi e modi della vendemmia attraverso il Codice rurale di Mariano IV d'Arborea Le vigne e le chiusure: la tradizione vitivinicola nella storia del diritto agrario della Sardegna (secc. XIII-XIX) Viticoltura urbana e "forme'"del territorio La vite e il vino. Storia e diritto 3. . I vini di corte del Piemonte in età moderna Il primo a dare un grande impulso ai consumi in generale, e di vino in particolare, alla corte sabauda è Emanuele Filiberto di Savoia: dopo la firma della pace di Cateau-Cambrésis, sottoscritta il 12 aprile 1559 tra il vincitore della guerra, Filippo II di Spagna, alleato con gli inglesi e con i Savoia, ed Enrico II di Francia, alcune terre, allora in mano ai francesi, tornano al Piemonte e ai Savoia, anche se il marchesato di Saluzzo, il Monferrato e Alessandria rimangono ancora per un po' di tempo controllate rispettivamente dai francesi, dai Gonzaga di Mantova e da Milano. Torino torna capitale dello Stato sabaudo il 12 dicembre 1562, mentre bisognerà aspettare il 1574 perché Pinerolo venga restituita dai francesi al Piemonte, e il 1575 perché gli Spagnoli restituiscano Santhià e Asti. La corte di Emanuele Filiberto rispecchia grosso modo la suddivisione presente in quasi tutte le corti europee, sia per gli esempi dell'impero di Carlo V e di Filippo II, sia per l'esperienza diretta come governatore dei Paesi Bassi e di comandante dell'esercito spagnolo in terra di Fiandra: casa, camera e scuderia.