Non può ritenersi espressione del caso che l'opera nella quale deve identificarsi l'atto di nascita della nuova disciplina veda la luce in un principato pervaso da un profondo processo di trasformazione: la Toscana di Pietro Leopoldo. Appare altrettanto coerente che l'obiettivo che l'autore si propone corrisponda al proposito di "suggerire agli Stimatori miei compagni non poche, al parer mio, necessarie notizie, senza le quali difficilmente avrebbero essi dato il giusto valore a prelati effetti (i beni immobili); avendo conosciuto ben chiaro che i medesimi non peccavano per malizia, né per altra loro cattiva intenzione, ma solo per non conoscere quanto importi l'esame di molte cose, che son credute affatto superflue, e di nessuna conseguenza, con notabilissimo pregiudizio delle parti". È l'enunciazione del disegno di sottrarre l'arte delle stime al terreno dell'empirismo sul quale lo conserva tradizionalmente l'attività di agrimensori privi di conoscenze economiche e giuridiche, trasponendolo su un terreno nuovo, sul quale rifondarlo su certezze metodologiche tali da farne strumento adeguato alle esigenze del rinnovamento economico e civile. Se non ci stupiscono i propositi, non può non costituire ragione di sorpresa constatare che l'autore che affronta un compito di tanto impegno sia lo stesso Cosimo Trinci di cui abbiamo commentato, tra le opere dei georgofili toscani, il trattatello agronomico: estimatore prima che agronomo, se proponendosi maestro di scienza della coltivazione ha diluito in un coacervo privo di originalità nozioni tanto ovvie da risultare banali, affrontando il tema delle stime fondiarie l'agrimensore pistoiese si rivela capace di sintetizzare, nelle pagine di un'operetta di nitida organicità, i concetti la cui formulazione suggella il manifesto della nuova metodologia estimativa. Il vede la luce a Firenze nella bottega dello stampatore Albizzini nel 1755, ventinove anni dopo la pubblicazione dell' . Accolto con favore, nel 1778 viene ristampato a Venezia nel corpo di una raccolta di saggi economici comprendente uno scritto di Genovesi, l'illustre studioso napoletano, e una serie di lavori di agronomi italiani e francesi». Trattato delle stime de' beni stabili Agricoltore sperimentato 21 A. Saltini, Storia delle scienze agrarie, cit., vol. 2, I secoli della rivoluzione agraria, pp. 218-219. 21. 2. Viticoltura ed enologia tra Sette e Ottocento, con uno sguardo indietro e uno alla Francia Nel 1600 viene dato alle stampe il libro di Olivier de Serres Le théâtre d'agriculture et mesnage des champs, sotto spinta del suo grande estimatore Enrico IV, un'opera considerata il primo trattato scientifico di agricoltura ed economia rurale francese. 22 : «Detto "il Grande", ebbe anche il soprannome di "Vert Galant" ossia "Verde Galante", per il colore degli abiti preferiti e la grande passione verso le donne. Enrico IV di Francia, già Enrico III di Navarra, aveva doti quali bonomia e semplicità che celavano un innato senso dell'autorità. Esagerava certi suoi modi trasandati, certe sue rozzezze di linguaggio, perché sapeva che piacevano al popolo. A conferma della speciale personalità del re, il suo ministro duca di Sully riferisce un episodio divertente. – Correva l'anno 1606 quando Enrico IV venne invitato a colazione all'Arsenale. Il sovrano, invece di prendere posto a tavola nel salone, preferì recarsi a fare un giro d'ispezione nelle cucine. Lì si mise a sollevare i coperchi delle pentole, sotto lo sguardo stupito e sgomento dei cucinieri, per poi farsi servire ostriche e un bicchiere di vino bianco. – Gli storici della gastronomia ricollegano Enrico IV all'affermarsi di nuove abitudini nel modo di mangiare a tavola. L'uso della forchetta diffuso a varie classi, fino ad allora esclusivo privilegio di corte, e l'integrazione dei tovaglioli singoli alla tovaglia, utilizzata al tempo anche per pulire mani e bocca. Questo re di Francia, che si racconta fosse ghiottissimo di canditi, diede anche il suo nome alla preparazione del pollo lesso. Pare infatti che durante un discorso ufficiale al Duca di Savoia, egli avrebbe detto: "Vorrei che nel mio regno, ogni lavoratore potesse mettere un pollo in pentola". Nacque così la storia del "Poule-Au-Pot", ossia "pollo in pentola", dedicato a Enrico IV, sulla cui autenticità ci sarebbe una citazione di Voltaire». Da . Enrico IV (1553-1610), figlio di Antonio di Borbone, duca di Vendôme, e della regina di Navarra, Jeanne d'Albret, ricevette un'educazione calvinista. Con l'aiuto della madre, si unì alle forze protestanti. Nel 1572, alla morte di sua madre divenne re di Navarra e sposò Margherita di Valois, figlia di Caterina de' Medici. Durante le feste di nozze, Caterina de' Medici tentò di sbarazzarsi degli ugonotti facendoli uccidere nel massacro della notte di san Bartolomeo (24 agosto 1572). Enrico di Navarra venne risparmiato, ma fu costretto ad abiurare. Alla morte del duca d'Angiò, fratello del re Enrico III, divenne erede al trono di Francia. Salì al trono nel 1589 dopo la cosiddetta "guerra dei tre Enrichi" (1585) e l'assassinio di Enrico III per mano di un fanatico cattolico. Nel 1593, non potendo vincere i cattolici in battaglia, Enrico IV si convertì al cattolicesimo ("Parigi vale bene una messa"). Preso saldamente il controllo del regno, nel 1598 promulgò l'Editto di Nantes, con cui ai protestanti francesi vennero garantiti una moderata libertà religiosa e il pieno godimento dei diritti civili, ponendo così fine alle guerre di religione in Francia. Come garanzia il re permise loro di mantenere proprie fortezze in varie località della Francia. Cadde assassinato nel 1610. Gli successe il figlio Luigi XIII, sotto la reggenza della sua seconda moglie Maria de' Medici. 22 www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/personaggi/print/Enrico-IV-e-il-pollo-in-pentola.html