6. Due viticolture di montagna a confronto nella crisi vitivinicola del Novecento: la Valle d'Aosta e le Cinque Terre 6.1 La Valle d'Aosta Il territorio valdostano coltivato a vite giace quasi interamente nella vallata centrale, percorsa dalla Dora Baltea, e si estende sulle pendici pedemontane che corrono da Pont-Saint-Martin a Morgex, interessando maggiormente le coste soleggiate della sinistra orografica: «La frammentazione delle proprietà, nella loro stragrande maggioranza inferiori all'ettaro, e le caratteristiche disagevoli della coltivazione continuano a condizionare i risultati ottenuti dalla viticoltura locale, come confermano i numeri: in questa regione si produce lo 0,1 % del vino italiano (47mila quintali di uva, un milione di bottiglie circa) e gli ettari coltivati a vite sono appena 522, oltre 300 dei quali caratterizzati da difficoltà strutturali quali pendenze superiori al 30 % ed elevata altitudine degli impianti: con queste premesse si potrebbe pensare a produzioni di qualità non eccelsa, ad una scarsa varietà di vitigni, all'assenza di una tradizione solida. Invece il quadro è ben diverso. L'attività vitivinicola della regione si sviluppa lungo il fondovalle che da Donnas si arrampica in meno di 90 chilometri fino ai milleduecento metri di Morgex, borgo posto alle pendici del Monte Bianco. Si tratta di un "solco" che taglia in due la regione, caratterizzato da scarse precipitazioni, ventilazione costante ed escursioni termiche significative tra il giorno e la notte, con tutto ciò che questo significa in termini di maturazione rapida delle uve e sviluppo degli aromatici varietali. I terreni coltivati a vite sono morenici (l'intera regione era un gigantesco ghiacciaio), sabbiosi e sciolti e sorgono tutti sul versante della valle esposto a sud. Le ridotte dimensioni delle proprietà hanno l'effetto di determinare alte rese per ettaro; la fittezza media degli impianti si aggira in genere tra i 6.500 e gli 8 mila ceppi/ha. Qui i vigneti – che ricoprono tra l'altro un'importante funzione di tutela dal pericolo di frane e smottamenti del terreno – sono impiantati su terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, tanto diffusi da caratterizzare il paesaggio in maniera inconfondibile». 72 Sulla viticoltura valdostana dell'Ottocento le maggiori informazioni ci giungono da Lorenzo Francesco Gatta, che ci ragguaglia del fatto che «in molti vigneti di Ciambava, Nusso, Aosta, Sarre e San Pietro essa non è quasi alta più di un palmo, e disponesi a filari ossiano spalliere assai soleggiate, ed anche su pergolette, che sono pur comuni». A pergola o a spalliera sono dunque i sistemi di allevamento utilizzati dai vignerons di allora, con ceppi molto bassi, qualche decimetro appena dal terreno; abbastanza diffusa, soprattutto nel centro Valle, pare sia anche la coltivazione ad alberello – o a piquet – con viti isolate. Le produzioni di uva sono di conseguenza molto variabili: convertendo i dati statistico-economici offerti da Gatta per quanto riguarda la Valle superiore, le rese per ettaro differiscono enormemente, variando da 13 ettolitri a 210 ettolitri circa, con una media di 66 ettolitri per ettaro. Le misure agrarie utilizzate dai contadini di queste zone sono la tesa e la quartanata; 100 tese corrispondono a una quartanata e una quartanata corrisponde a circa 350 metri quadrati. 73 M. Arturi, , in . 72 L'eroica viticoltura della Valle d'Aosta www.sorgentedelvino.it/articoli/i-vini-e-la-viticoltura-della-valle-daosta.htm Il , scritto dal medico Lorenzo Francesco Gatta, socio libero della Reale Società Agraria di Torino, fu pubblicato nel 1838 nell'XI volume delle , stampato dalla Tipografia Chirio e Mina in via di Po a Torino. 73 Saggio intorno alle viti e sui vini della Valle d'Aosta Memorie della Reale Società Agraria